BENJAMIN E ISABEL: ROAD TO MALONE

Florida Border

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    Mi precipitai verso la porta, vedendoci il volto di Benjamin stampato sopra.
    Dov'è? Dov'è andato?

    Sentivo il panico montare e il cuore sul punto di catapultarsi fuori dal petto, e mi venne da vomitare.
    Quando scesi l'ultimo gradino però mi trovai davanti Matt, che si era piazzato strategicamente davanti all'uscio, bloccandomi la via d'uscita.
    Mi fermai, con il fiatone e le lacrime agli occhi, e inspirai a fondo, cercando di restare coi piedi per terra e capire che cosa fosse la cosa migliore da fare, nonostante la voce nella mia testa avesse preso ad urlare con forza come faceva ogni volta che le cose andavano male, stordendomi.

    Avrei tanto voluto tornare bambina e potermi permettere di piangere e pretendere di essere consolata, pestare i piedi ed essere sicura di avere qualcuno che mi prendesse in braccio e mi cantasse una canzone per calmarmi. Ma ero adulta, e quel mondo mi aveva plasmata a suo piacimento, costringendomi a trovare sempre un coraggio dettato dalla paura che mi stava cambiando dentro, e non necessariamente in meglio.

    Matt iniziò a dirmi che noi eravamo angeli della musica, non guerrieri. In fondo non potevo dargli torto: non sarei mai stata una combattente. Io ero vigliacca, terrorizzata, odiavo la violenza e gli incubi continuavano a tormentarmi in quel mondo fatto di morte e di dolore. Ma quale scelta avevo? Restare in quella casa con Matt, lasciare che mi stringesse al posto di Ben, che mi sussurrasse cose dolci al suo posto? Matt era bello e affascinante e sapeva dire la cosa giusta al momento giusto.

    Allungò una mano verso il mio braccio e prese ad accarezzarlo, e il mio cuore iniziò a battere ancora più forte, tanto che prese a girarmi la testa e temetti di collassare sul pavimento. Volevo scappare, andarmene da lì. Ripensai a Benjamin il giorno in cui avevo inchiodato col pick-up di Robert in mezzo a Salem, ai suoi occhi colmi di rabbia e di dolore e il modo in cui ero riuscita a portare una piccola luce di speranza dentro a quelle iridi scure, giorno dopo giorno.
    Ripensai al modo in cui mi aveva stretta al Village Green dopo avermi salvato la vita, allo zucchero che avevamo mangiato assieme nella cucina di quella casa ad Abbeville, al modo in cui mi abbracciava da dietro, stringendomi come fossi la cosa più preziosa al mondo. Ripensai al nostro primo bacio, che gli avevo rubato egoisticamente, e poi al secondo e al terzo, e mi resi conto che io avevo riportato la vita in lui e lui mi aveva ridato la speranza e mi aveva insegnato a essere coraggiosa. Non per me, per lui.

    Quando mi resi conto che non volevo altro che uscire e trovarlo mi trovai il volto di Matt a due centimetri dal mio, e con un sobbalzo indietreggiai, scansandomi un po' bruscamente, paonazza.
    "Scusa, scusa Matt.. Io.."
    Lo scostai delicatamente, gentile. Lui non avrebbe mai potuto stringermi con lo stesso bisogno con cui lo faceva Benjamin, lui non era legato a me, ma all'idea di me.
    "Devo andare. Resta al sicuro, ci vediamo dopo."
    Aprii la porta e mi lanciai fuori.

    Le urla della gente e il rumore degli spari mi colpirono come uno schiaffo violento in pieno viso, tanto che per un istante restai ferma di fianco al dondolo, tremando come una foglia. C'erano vaganti ovunque che stavano attaccando gli abitanti di Malone, mordendoli o aprendo con le mani il loro ventre, sparpagliando budella e sangue per strada. Mi sentii morire.

    Avanzai per inerzia, urlando il nome di Ben nella mia testa e forse anche fuori, ma non riuscii a capirlo davvero.
    Barcollai e picchiai una spallata contro al tronco di un albero di fuori, con un fischio perenne nelle orecchie a ricordarmi che ero sotto shock.
    No, non può essere.

    Non poteva essere.
    Perché erano lì? Perché erano così tanti? Perché c'erano dei morti?
    Sei stata tu.
    La voce nella mia testa si ribellò e mi fece male.
    Sei stata tu, hai deciso di cantare, sei egoista, hai ferito Ben e hai attirato tutti questi zombie, questa gente sta morendo per colpa tua.
    "No, no, NO!"
    iniziai a urlare e a piangere, il petto che si alzava e abbassava così rapidamente che rischiai il collasso.
    E Ben? Ben dov'è? E se è morto anche lui?
    "BENJAMIN!" strillai, barcollando in giro come uno di quei non morti, rischiando di essere trovata da qualcuno di loro, una preda così facile.

    Mi diressi verso le porte della città, singhiozzando e tenendomi una mano poggiata sulla gola, cercando aria che invece continuava a mancare. Tutto girava, e fui certa che sarei svenuta da un momento all'altro. Ma dovevo trovarlo. Era colpa mia.
    Gli spari si fecero più vicini, e mi tennero in piedi solo perché mi provocarono una fitta di dolore e di paura così forte che mi lasciò completamente senza fiato.

    Urlai ancora e ancora il suo nome, cadendo in ginocchio in mezzo alla strada, lasciandomi catturare dal panico senza riuscire più a opporre resistenza. Che senso aveva la mia vita senza di lui? Se lui era morto, perché avrei dovuto andare avanti?

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    Tutto sembrava andare a rallentatore. Attorno vi era un misto di grugniti, urla, spari, suoni gutturali e striduli. Tutto assieme, in un calderone infernale, indistinto e terrificante. L'uomo a terra si dimenava in preda al panico, con una forza tipica di chi sta morendo e il suo istinto di sopravvivenza ha la meglio. Mi ricordava le formichine che guardavo affogare nel bicchiere d'acqua da ragazzino, mentre agonizzavano e sgambettavano inutilmente nel fluido "condito" in vari modi. Provavo lo stesso sentimento di allora: solo curiosità. Fredda curiosità.

    Il nero freddo che mi era scivolato dentro in questo mio cammino, era sempre più deciso a venir fuori. Non ero più Benjamin, bensì un gelido blocco di marmo informe, che andava scolpito. Giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Attimo dopo attimo. E con uno scalpello insanguinato.

    Quello fu sicuramente il primo di quei giorni. L'inizio della mia tragica evoluzione nell'assassino e mostro che necessitavo essere, se volevo raggiungere Miami. Anche solo la Florida. Le ore che avevamo passato a Malone erano più intense e importanti di quanto avessi mai creduto e gli attimi che stavo vivendo senza Isabel, col pensiero che le potesse essere accaduto qualcosa, erano lunghi anni e dolorosi come bruciature di olio bollente, ma anche "forgianti". Avevo capito che senza di lei, mi sarei potuto muovere più rapidamente, una volta diventata la "faina" che dovevo essere.

    Il petto mi bruciava dalla fatica, dalla mancanza di fiato. Bruciavano le nocche per via dei pugni rifilati ai vaganti, gli avambracci per gli strattoni nei confronti di quelli che erano riusciti ad avvinghiarmi, e il palmo della mano, per lo sforzo fatto per uscire a colpi di accetta da quel macello. Se fossi stato morso, probabilmente non me ne sarei accorto: carico di adrenalina a bestia, come un ronzino bombato di droghe fino a farsi scoppiare il cuore.

    Non c'era Stephanie.
    La certezza di averla persa, che oramai fosse solo un ricordo, si era fatta strada in quella chiesa. Rimaneva la promessa e il debito che avevo contratto con la sua anima, quando non ero stato uomo abbastanza da starle vicino nel momento del bisogno. Nel momento finale. Non vedevo il suo volto come non vedevo niente sul mio cammino. L'oscurità e le schifezze che mi erano finite sugli occhi, mi avevano offuscato la vista a tal punto, che colpii di spalle un non morto, facendoci letteralmente rimbalzare e ciondolare a vicenda. Appena piantato nuovamente sui piedi, gli calai l'accetta con tale violenza in testa, che penetrò fino al midollo spinale, fin dentro il collo. Urlai di rabbia e con un calcio lo allontanai. Disperato.

    Non vedevo Isabel.. ma infine la udii. "BENJAMIN!"

    La sua voce, anomala, carica di paura e stridula, mi chiamava graffiando l'aria da quella che doveva essere la direzione che stavo seguendo poco prima. Arretrai di un passo, come a cercare di individuarla del tutto, e con slancio mi fiondai verso di essa.
    Avevo paura fossero le mie sirene in realtà. Le streghe di Salem, che mi avevano seguito e che marciavano trionfanti in quel clima di morte. Invece era Isabel per davvero.

    La vidi sbucare dal nulla più nero, come se uscisse da un sudario di ombre, sfondando il muro di polvere e fumo di cordite.
    I boccoli biondi che ondeggiavano parevano surreali, le sue braccia e le sue labbra, morbide come la pancia di un bambino, chiamavano il mio nome e tutto sembrava la perfetta coreografia di uno dei suoi video..
    Era così bello rivederla, che non credevo fosse reale. La voglia di stringerla era talmente forte, che avrei rischiato di ucciderla stritolandola, ma sapevo che non avrei resistito e non scattai nuovamente, dopo un secondo di stallo involontario.

    Io dovevo sembrare il mostro di un film dell'orrore, coperto com'ero di frattaglie, sangue e con l'aria del serial killer di un B-Movie. Eppure lei mi correva incontro come un bambino fa con la sua mamma appena ritrrovata. La premura di chi ha visto una persona che sapeva morta, ed invece la scopre viva. Come le donne di soldati al fronte, che tornano dai luoghi di guerra e facevano loro una comparsata, apparendo all'improvviso. Era uno sguardo adorante. E le lacrime mi sgorgarono impetuose. Inarrestabili.

    Ma a pochi passi da lei, la vidi fare un movimento strano. Si incurvò di lato, con la faccia che assumeva un espressione stranita, sorpresa e addolorata. Ci fermammo a un paio di metri di distanza, prima di poterci toccare.
    Era "normale". Spaventata sicuramente, ma gli abiti erano integri, nessun morso visibile o macchie di sangue. Tutto era nella norma, fino a che una chiosa rossa andò allargandosi sul suo vestitino di seta leggerissimo. Non capii subito, ma un dubbio atroce e doloroso piuttosto familiare, mi assalì.

    La vidi alzare lo sguardo spaventato su di me, un attimo prima che finisse fra le mie braccia.
    Isabel! Isabel che... quando l'afferrai gli sfuggì una smorfia di dolore vivo e soffocò piccolo grido.
    Non potei terminare la frase: alzai la mano che aveva toccato il suo fianco e vidi il palmo intriso di sangue. Il suo sangue.
    Avevo la certezza che Isabel fosse stata colpita da qualcosa.

    Il mio cuore si fece piccolo come una noce, mentre il mio sentimento mi si faceva ancora più chiaro. Non potevo perderla. Non potevo perdere Isabel.


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    Le ginocchia bruciavano a causa della caduta, ma in quel momento il dolore che provavo dentro era più forte di qualsiasi altra cosa.
    "BENJAMIN!" urlai ancora, singhiozzando come una bambina, priva di difese, di dignità, tutta la felicità che avevo in corpo strappata via in una frazione di secondo in modo brutale.

    Mi sentivo come si mi avessero appena strappato via il cuore dal petto, lasciando un buco sanguinante come ricordo di ciò che provavo.
    Urlai e piansi, circondata da morti e non morti, incurante del fatto che uno di loro avrebbe potuto banchettare col mio corpo o che qualcuno avesse potuto scambiarmi per una infetta a causa dei miei movimenti lenti e stanchi. Nella mia testa vedevo solo il volto triste di Ben, e la voce nella mia testa urlava, urlava, e urlava ancora, assordandomi e stordendomi, mentre dentro di me si faceva strada una disperazione sorda al pensiero che lui potesse essere morto.

    Tra le lacrime però vidi una figura avvicinarsi di corsa, e capii che era diretta verso di me. Non riuscii a spaventarmi, perché il terrore si era già impossessato del mio corpo da qualche minuto e non aveva intenzione di abbandonarlo. Quando la figura fu più vicina però la riconobbi, e sentii il cuore fermarsi nel mio petto e il fiato mancarmi per un istante che mi parve lungo come una vita intera.
    Era Benjamin, con l'accetta in mano grondante di sangue e una ruga di preoccupazione e dolore a solcargli la fronte, tagliandola a metà.
    Era così bello..

    Urlai il suo nome, o forse fu di nuovo la voce nella mia testa, e improvvisamente trovai la forza di alzarmi nonostante le ginocchia tagliate e il corpo semi paralizzato dalla paura. Iniziai a correre verso di lui, anche se in realtà la corsa era solo un mio desiderio alle quale le gambe non vollero obbedire, tremando e facendomi barcollare goffamente e lentamente verso di lui.
    E' un'illusione, stupida.

    No, non poteva esserlo. I suoi occhi scuri, il suo sguardo, non potevano essere un'illusione. Allungai una mano come a pregustare un contatto, con soltanto la voglia di dirgli quanto avessi avuto paura di perderlo, quanto fossi pronta a perdonarlo per ogni cosa..
    Poi sentii un botto lontano e persi l'equilibrio, piegandomi di lato come un grissino spezzato a metà. Subito non sentii il dolore.
    Le ginocchia tremarono, poi non le sentii più.

    Abbassai lo sguardo, con il cuore a mille, e notai una chiazza scura come la notte macchiare la seta della mia camicetta, sul fianco destro, e allargarsi sempre di più, ad una velocità impressionante. Mi portai una mano tremante sul fianco, e mi resi conto che non sentivo più il gomito, o le dita, e che probabilmente mi stavo muovendo solo perché il cervello stava elaborando tanti, troppi dati e dava ancora ordini alle mie membra. Le dita si macchiarono di rosso, e così fu per tutto il palmo.

    Feci giusto in tempo ad alzare lo sguardo per cercare quello di Ben, terrorizzata. Poi arrivò il dolore, acuto, che dal fianco si diramò per tutto il corpo, provocandomi una fitta di dolore così intensa che crollai in avanti, tra le braccia di Benjamin.
    Lui disse qualcosa, ma io non sentii nulla. Cercai di aggrapparmi alle sue spalle, ma le mie dita non si mossero, molli come gelatina.
    Aprii la bocca per dire qualcosa, ma finii solamente col tossire violentemente, ad ogni colpo di tosse una fitta tremenda a squassarmi il corpo.

    Iniziai ad annaspare alla ricerca di aria, con il cuore che batteva così forte da farmi male al petto. Faceva tutto male, e non riuscivo più a distinguere il punto in cui avevo ricevuto il colpo. Il volto di Benjamin, pallido e sporco di sangue, iniziò a macchiarsi di oro e argento a causa delle stelline che iniziarono a riempire il mio campo visivo.
    "B..." cercai di chiamarlo, ma poi tossii ancora, e la vista iniziò ad annebbiarsi, non più a causa delle lacrime.
    Ebbi giusto il tempo di chiedermi perché, poi tutto diventò nero come la pece e smisi di avere percezione del mio corpo e di me stessa.


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    Reagii d'istinto e l'afferrai al volo per sdraiarmela sulle ginocchia. Sentivo che le sue gambe non avevano più forza per sorreggerla e stava svenendo. Ci accasciammo a terra, senza dire nulla, senza fiato o parole per descrivere l'orribile insieme di emozioni.

    La smorfia, il dolore, il sangue che scuriva la sua camicetta o abito che fosse, erano segnali evidenti, ma impossibili da accettare. Istintivamente ma senza una vera forza, presi a premere sulla ferita con forza. Il ricordo di un corso di pronto soccorso mi spiegava che così si sarebbe rallentata l'emorragia, ma NUOVAMENTE, il terrore di vedermi morire fra le mani anche lei, prese il sopravvento. La mia vigliaccheria istintiva, aveva letteralmente indebolito il braccio che doveva fare pressione e tutto di me gridava
    Fuggi.
    Ma qualcosa dentro di me, mi diceva altro. Mi diceva che potevo salvarla. Che DOVEVO salvarla. Che lei era la mia luce, la mia seconda occasione e non potevo perderla. NO. NO.

    no..no... ripetevo all'infinito, con quella nuova coscienza. Premevo forte perchè non volevo che la vita le sfuggisse dal corpo, attraverso quello che immaginavo essere un piccolo foro. Forse un proiettile vagante.
    Quando l'afferrai potei sentire tutto il peso del suo esile corpicino. Sembrava quello di un fagotto di stracci e nonostante la sua altezza e lo strazio, riusciva a non essere sgraziata e a non pesarmi fra le braccia.
    O ero diventato all'improvviso forte come un toro, o la disperazione mi stava dando energie inaspettate.

    Urlavo No! NO! e le premevo la ferita, mentre vagavo senza una vera meta. Non avevo idea di che fare, dove andare, chi cercare.. poi, d'istinto pensai a Harris, o alla signora Denton, mentre rifuggivo mentalmente la figura di Archibald: lui che dava l'estrema unzione agli uomini di Malone, mi fece tremare di rabbia e disperazione e stargli lontano era scaramanticamente la cosa più ovvia da fare. Come se avesse avuto un senso..

    La rabbia e la frustrazione che stavo provando mi scuotevano come se avessi avuto un defibrillatore attaccato al cuore, ciondolova a destra e a sinistra urlando come un pazzo il nome di Jacob, Denton, Harris, Isabel...
    Finchè non incontrai uno dei suoi uomini nella nebbia, che me lo indicò. Era coperto di sangue e schifezze dalla testa ai piedi e sembrava stremato, oltre che folle di orrore. Vidi la sua figura emergere dal mucchio di sconosciuti che avevo davanti, come il risultato canonico di una equazione di base: era il migliore, era colui che aveva più probabilità di farcela sempre, a ogni costo, per gli altri. E io dovevo essere come lui, un giorno.

    Mi venne incontro con uno sguardo carico di rassegnazione per Isabel, ma non sembrava per niente turbato dalla tremenda battaglia appena sostenuta. Non mi resi contro che tutto attorno erano finiti gli spari e che i non morti erano stati sterminati, anche se a caro prezzo.
    Non mi interessava niente.

    Harris! dissi ad alta voce, perentorio e minaccioso, come se avessi mai potuto spaventare un tizio del genere. La mia risoluzione però dovette risultare efficace, in quanto si fermò e mi dedicò completa attenzione.
    mi dica che la salveremo, e io farò qualsiasi cosa per lei.. qualsiasi.


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    JACOB HARRIS Jacob
    H9vdXhy
    ↘ Il coraggio è fatto di paura mista a follia. Siate coraggiosi. Siate folli.



    Jacob Harris ha appena vinto la sua battaglia contro i non morti. Sa che il concerto di Izzie non è la sola causa dell'arrivo di quell'orda infinita, bensì il gesto di qualcuno che conosce molto bene e con cui ha avuto a già a che fare. Qualcuno molto geloso del suo successo e interessato a riprendersi tutto.

    Jacob non ha mai rivelato a nessuno di sapere chi sta dietro a molti degli attacchi che la città ha subito. Tantomeno ha mai avuto la paura, o la necessità di doverlo rivelare. Purtroppo pare che il momento sia arrivato. La situazione è degenerata a tal punto, da essere una vera priorità. E' convinto di avere persino una serpe in seno, una spia, che ha saputo dettargli il momento adatto per attaccare e usando il concerto di Izzie come distrazione finale.

    E' furioso, stanco e deluso, nonostante abbia vinto la sua battaglia, uccidendo tutti i non morti. E' deluso, perchè ha perso molti cittadini per colpa di questa mancanza e il suo carattere perfezionista e votato agli altri, lo rende ancora più frustrato.
    Quando Ben gli si fa incontro, l'ennesima disperata scena gli si para davanti. Purtroppo si tratta del povero ragazzo, che porta in braccio l'amata Isabel. Non aveva afferrato il motivo di tanto distacco fra loro, potevano esserci mille ragioni, ma si poteva leggere l'amore incondizionato di entrambi, l'uno per l'altra, nei loro occhi. Senza dover essere un esperto in materia, tanto era lampante.

    Adesso il povero ragazzo lo guarda furioso e gli fa un richiesta che sa di non poter garantire, ma che in cuor suo vorrebbe tanto. Legge anche una determinazione, che raramente aveva mai incontrato. Vuole sperare che Isabel si possa salvare, che possa usare Ben, uno sconosciuto che per molti versi gli assomiglia, per risolvere il suo problema.

    Spera nel Dio che oramai da tempo ha preso a pregare insistentemente.
    Signor Schenkkan. La prenderò in parola, ma più che affidarla al dottor Jamir.. Harris sfiora rapidamente la fronte di Isabel lanciandole uno sguardo che dà spazio a pochi fraintendimenti. E' sinceramente triste.
    ..di più non posso fare. Era un chirurgo ortopedico, è già al lavoro nel magazzino di color celeste, divenuto il nostro ambulatorio e sala operatoria. Vada ora!

    Parla rapido, senza indugi spiegando il luogo e la situazione, suggerendo a Ben di muoversi in fretta.

    Il ragazzo corre tenendo la ferita di Isabel ben premuta, come se non ci fosse un domani, mentre Harris lo osserva allontanarsi di spalle. Come sempre è pronto ad affrontare il futuro senza remore, ma questa volta.. questa volta le sue antennine.. sentono molto di più.
    E lo sguardo che ha, la dice tutta..

    Dopo un'ultima, fatidica occhiata al ragazzo, si volta verso i suoi uomini e verso l'orrore momentaneamente accantonato.
    Serra le labbra appena appena, sussurrando una promessa nei confronti di colui che ha causato tutto quello.

    A breve, la sua vendetta calerà su di esso. Con furioso sdegno..


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    Il bosco attorno a me era fitto e scuro, e non riuscivo a capire se fosse perché era notte fonda o perché le fronde erano talmente rigogliose da coprire completamente il cielo, impedendo l'accesso a qualsiasi flebile raggio di luce proveniente dall'alto.
    Non faceva freddo, ma l'umidità era così forte da addensarsi sulla mia pelle e farmi rabbrividire ad ogni passo.
    Ogni tanto si sentiva il battito delle ali di qualche uccello provenire da un punto imprecisato tra i rami, ma a parte quello regnava il silenzio assoluto, pesante e opprimente.

    Mi sistemai il cappuccio rosso sul capo e proseguii lungo il sentiero, chiedendomi come mai Benjamin avesse deciso di andare a vivere così lontano da me. Riuscii a tranquillizzarmi solo quando vidi il fumo alzarsi da un comignolo in lontananza, e avvicinandomi riuscii a vedere anche il resto della casa. Era piccola e graziosa, tutta in pietra grigia, fatta eccezione per le tegole del tetto, rosso fuoco.
    Sorrisi tra me e me, immaginandomi l'espressione sorpresa di Ben nel vedermi arrivare con la mia cesta ricolma di dolcetti fatti in casa.
    Mi fermai di fronte alla porta e pulii le suole degli stivali sul tappetino, mi schiarii la voce e poi finalmente mi decisi a bussare, leggermente agitata.

    Quando la porta si aprì il mio sorriso si allargò, per poi cancellarsi in una frazione di secondo. Davanti a me sostava una donna alta e bionda quanto me, i capelli lunghi e perfettamente acconciati e le labbra sottili arricciate in un'espressione di puro fastidio. Era vestita con un abito di pelliccia grigia che la faceva tanto somigliare a una strega dei boschi, bellissima e carica di cattiveria.

    Istintivamente indietreggiai, ma lei allungò una mano per afferrarmi il polso, gelida.
    "Che cosa vuoi tu?"
    "I... Io volevo solo sapere se Benjamin è in casa" mormorai, abbassando lo sguardo sulla sua mano. Aveva unghie lunghe e affilate, che mi fecero tremare leggermente.
    "Tu non puoi vederlo. Tu devi lasciarci stare, devi morire!" ringhiò, e quando alzai lo sguardo una fitta tremenda mi colpì al fianco.

    La guardai con la bocca aperta e gli occhi lacrimanti, piegandomi in avanti e crollandole addosso. Stephanie ghignò e mi mostrò un pugnale, la lama viscida di sangue.
    Il mio sangue.
    Urlai.

    "E' il dolore, è normale."
    Sbattei le palpebre e vidi una figura sfocata sporgersi sopra di me. Gemetti di dolore, cercando di metterla a fuoco.
    Allora non sei morta.
    Il volto che mi stava osservando era quello di un uomo dalla pelle ambrata, di un'etnia diversa dalla mia. Indossava un camice sporco di sangue e una goccia di sudore gli imperlava la tempia destra. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non ci riuscii.
    Improvvisamente una luce mi accecò completamente, costringendomi a richiudere gli occhi.
    Poi un'altra fitta, tremenda, al fianco, e il nulla arrivò di nuovo.

    "Si riprenderà, è solo una brutta ferita."
    Ora la voce era più familiare, e la associai all'uomo in camice di prima. Non riuscii a capire quanto tempo fosse passato da quando mi aveva abbagliata, forse un'ora, forse un secondo. Cercai di aprire gli occhi e di muovere le braccia, ma non ci riuscii, come sotto l'effetto di un'anestesia. Sentivo qualcosa di caldo stringermi la mano destra, una stretta forte ma dolcissima, che ebbe il potere di scaldarmi il cuore.

    Benjamin...
    Lo chiamai mentalmente, ma la mia bocca, di nuovo, non riuscì ad aprirsi. Mi sentivo stremata, pesantissima, il fianco doleva e mi sembrava di essere sdraiata su un materassino al mare, completamente bagnato. Non mi resi conto che si trattava del mio sangue.
    Io volevo solo trovarti, volevo solo te...
    Vidi il suo volto, sconvolto, eppure gli occhi erano ancora sbarrati. Strinsi mentalmente la sua mano, il più forte possibile, ma la mia forza se n'era andata tutta, anche quella dentro.
    Non lasciarmi.

    Avrei tanto voluto piangere, per il dolore che mi immobilizzava, per la paura che ancora si agitava dentro alla mia pancia, perché avrei voluto aprire gli occhi e vederlo.

    Provai di nuovo a chiamarlo, ma mi costò uno sforzo troppo grande, e il velo nero pesante e silenzioso calò di nuovo su di me, e sparì tutto.


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    Corsi come il vento, mentre la testa di Izzie sobbalzava e sbatteva sul mio petto. Corsi come se mi stesse inseguendo un lupo, con i crampi alle gambe e in totale apnea. Dovevo aver smesso di respirare l'esatto istante in cui Isabel mi si era accasciata fra le braccia, forse già morente. Non potevo accettarlo. E corsi come il fulmine.

    Schivai ostacoli che vedevo solo all'ultimo istante, come un ghepardo all''inseguimento della mia vittima, con lo sguardo che puntava fisso e dritto su di essa. Doveva essere un magazzino celeste, ma tutto aveva una sfumatura grigio-scuro. Orribile, terrificante.

    Le urla e i suoni si erano affievoliti, le uniche sensazioni che percepivo erano il bagnato-caldo che il sangue appiccicato addosso e il contatto dello sbattere ritmico della testa di Isabel sul mio petto. Raggiunsi il capannone proprio nell'esatto istante in cui un tizio, di origini chiaramente asiatiche, spalancò un portone chiamando ad alta voce il nome di una donna. Si voltò verso di me e, senza dire una parola, si fece da parte tenendo la porta aperta.

    Dentro c'erano persone affannosamente intente a stringere lacci, tagliare lembi di pelle o suturarne altri. Alcuni aiutavano, molti soffrivano.
    Egoisticamente, non mi curai di nessuno di loro, adagiando quella preziosa figura angelica sull'unico lettino libero della stanza. Era bella, ma pallida come il latte.

    E da lì divenne tutto un susseguirsi di frenetici movimenti del dottore e dei pochi che potevano aiutarlo. Atti esperti, rapidi, seppur destabilizzanti quanto capivi che si trattava di carne umana, di gente VIVA. In breve, divenne il caso principale, mentre io lo spettatore disperato, che pensava una cosa soltanto.
    Tu devi vivere.. amore. Io devo morire, tu no..

    .......

    La stanza era troppo sporca per essere degna di essere chiamata "sala operatoria". Inoltre era assiepata di persone, sconosciute e disperate quanto noi. Non sapevo che fare, che dire, dove andare. Stephanie mi guardava tremante, non quanto me a dirla tutta, e non certo per la paura. Ma per la ferita al braccio. Era stata morsa e ci avevano detto che non si poteva fare più nulla oramai. Che la febbre era il primo sintomo. Che poi sarebbe morta e ritornata. Che qualcuno avrebbe dovuto "pensare a lei". Che sarei dovuto essere io, ad ucciderla.

    Continuavo a rifiutarmi di crederli e a prendere tempo. A calcolare i pro e i contro.

    Poi, un altro ferito, morì. Di lì a poco aprì gli occhi, scatenando il panico. Fuggimmo. Passarono poche ore prima che Steph morisse, ma
    appena fuori però, mi disse:
    Tu devi vivere amore. Io devo morire oramai, tu no...


    .......

    Jamir
    , il dottore, scosse il capo più volte. Armeggiò, imprecò e alla fine, con la mano sporca di sangue, mi diede una pacca sulla spalla.
    Devi sperare.. puoi soltanto sperare..

    Le presi una mano e non mi staccai, finchè non giunse Harris, un tempo indefinito dopo, per sincerarsi della situazione di Isabel. E della mia.
    La mano era fredda, sembrava ancora più esile. Ci soffiai per riscaldarla, la baciavo stringendomela al viso e cercando di darle quel tepore che aveva perso. Cercando di trasmetterle tutto il mio calore, promettendole di non lasciarla mai più.
    E al contempo, sapendo quanto fossi falso a fare certe promesse, instancabilmente.

    Quando Harris arrivò, non disse niente, limitandosi a sfiorarmi la testa con un gesto paternale. Poi, dopo un pò, mi chiese
    Ho bisogno di parlare con te.
    Lo seguii senza mai staccare gli occhi di dosso a Isabel per un istante. Non avrei commesso il solito errore. O almeno, così credevo.

    Perchè quello che disse dopo, non fece passare nemmeno un giorno dalla mia ennesima promessa. E dal mia, logic, inequivocabile, tradimento.


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    JACOB HARRIS Jacob
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    ↘ Il coraggio è fatto di paura mista a follia. Siate coraggiosi. Siate folli.



    Il signor Harris arrivò al pronto soccorso con il solito atteggiamento di chi ha tutto sotto controllo, compresa la rabbia per ciò che stava vedendo. E il dolore che ne derivava. Tempo addietro aveva scelto quello come il posto adatto per un futuro ambulatorio, ma non aveva le capacità per capire quanto ancora andasse adattato e quanti materiali servissero affinchè fosse funzionale.
    Il nuovo mondo richiedeva molto oltre le sue capacità, e lo richiedeva a tutti.

    Uan sorta di purgatorio - era l'idea di Harris -, dove i buoni erano stati già portati via in Cielo, mentre i malvagi regnavano indisturbati, segnando per sempre il loro destino infernale. I vivi, però, avevano una seconda possibilità. Prima di arrivare al Giudizio, veniva data la possibilità ad ognuno di SCEGLIERE veramente e punirsi, con giorni di sacrificio, col fine di meritarsi finalmente il Paradiso.
    Detto da uno, che credente poi non era fino in fondo.

    Aveva ripulito la città da tutti i morti, pianificando già, con rabbia abilmente celata, la vendetta che avrebbe scatenato sul suo nemico. L'uomo che un tempo aveva dominato su Malone e che si era fregiato di ogni merito di Harris per i propri turpi scopi.

    Harris sfiora la testa di Ben, con un gesto istintivo, dettato dal suo vecchio retaggio di professore. Un uomo adorato dai suo studenti, prima dell'apocalisse. La sua determinazione è mista ad un carattere carismatico e caritatevole, che va oltre la normale comprensione.

    Solo un minuto figliolo. Ci basterà.


    Il povero Ben si alza dalla sua sedia senza dire niente e segue Harris pochi metri più in là, dove non c'è abbastanza luce per essere visti e lontano da occhi indiscreti. E dove Ben possa comunque vedere Isabel.

    Harris non cerca lo sguardo di Ben. Parla di tralice, come suo solito, lentamente e chiaramente.
    E' l'unica cosa che puoi fare adesso. Starle vicino. Quando tutto questo sarà finito, in un modo o nell'altro, ci vendicheremo. Non è il caso, adesso, di spiegarti il come e il perchè, ma tutto questo dolore è stato causato da un uomo. E noi lo troveremo.

    Inclina la testa sul petto, poggiando una mano sulla spalla di Ben.
    Questo amore è prezioso come l'aria che respiriamo, Benjamin. E dobbiamo respirare sempre, non quando ci va. Lo renda la sua forza e capirà che oltre il buio c'è sempre la luce. Che Malone è solo una goccia nel mare di ciò che si può fare. Esistono cose che, purtroppo, come quella che le ho detto, SI DEVONO fare. Ma altre che è VITALE fare. Come creare posti sicuri, dove stare accanto a chi si AMA..

    il suo sguardo complice la dice tutta su cosa sia in grado di percepire riguardo alle persone. E conclude, prima di andare via senza attendere risposte.
    Venga da me, appena potrà.


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    Isabel “Izzie” Swann "Izzie"
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    Da terra riuscivo a vedere squarci di cielo tra le fronde scure degli alberi. La luce fredda del crepuscolo mi accarezzava il volto pallido, mentre giacevo in una pozza del mio stesso sangue.

    Il fianco faceva così male che non riuscii a muovermi nemmeno sforzandomi. Piegai leggermente il capo di lato, e riuscii a vedere la casetta in pietra. Il camino aveva smesso di fumare, doveva essere passato del tempo da quando..

    Al ricordo della lama che mi si conficcava nel fianco un tremito mi scosse dalla testa ai piedi, provocandomi una fitta lancinante che mi strappò un gemito. Iniziai a piangere, prima debolmente, poi con disperazione. Sola in un bosco troppo grande e troppo scuro, di fianco alla casa della persona che amavo senza poterle dire addio. Mi chiesi perché, se fossi stata così cattiva da meritarmi una fine del genere, ma non riuscii a trovare una risposta.

    Poi vidi una figura emergere dagli alberi, e lo riconobbi subito.
    "Benjamin..." cercai di chiamarlo.

    Era vestito di pelle e imbracciava un fucile. La barba era incolta e i capelli mossi e spettinati, ed era così bello che fui convinta si trattasse solamente di una visione. Lui mi osservò, e vidi la disperazione nei suoi occhi. Poi sentii un urlo femminile, acuto e cattivo.
    Era lei, lo sapevo.

    La vidi correre verso di me con il pugnale alzato e i capelli biondi scompigliati dal vento come ragnatele dorate a incorniciare il volto di un demonio. Urlai, perché sapevo che stavo per morire. Poi ci fu uno scoppio, un boato che mi fece fischiare le orecchie.
    Il mio urlo divenne solitario e rauco, fino a spegnersi.

    Vidi Stephanie crollare a terra e le sue pellicce impregnarsi del suo stesso sangue, e Ben dietro di lei con il fucile ancora puntato verso la sua schiena. Lasciò cadere l'arma a terra e corse verso di me, abbassandosi e accarezzandomi il viso. Da vicino riuscivo a sentire il suo odore, e a vedere meglio i suoi occhi scuri. Mi asciugò le lacrime e io sorrisi, senza sentire più il mio corpo, come se fosse improvvisamente sparito. Poi, nuovamente, sparii anche io.

    Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una stanza che odorava di sangue, di disinfettante e di chiuso. Il soffitto era fiocamente illuminato dalla luce calda delle candele, e fuori stava calando la notte. C'erano tracce di sangue sul pavimento e qualche persona sdraiata su brandine di fortuna sparse negli angoli della stanza.
    Cercai di alzarmi, ma una fitta tremenda al fianco mi strappò un gemito e sentii una mano calda stringere la mia, gelida. Non riuscivo a ricordare cosa fosse successo, riuscivo solamente a ricollegare quel dolore al pugnale di Stephanie, eppure sapevo che si trattasse solamente di un sogno.

    "Benjamin..." lo chiamai, debolmente, cercandolo con lo sguardo. Lo trovai seduto di fianco al mio letto, su una sedia di legno grezzo, la testa poggiata contro al bordo del letto. Da quanto tempo ero coricata lì sopra?
    Quando il suo sguardo incrociò il mio ricordai il suo sguardo in mezzo alla paura e alla follia, ricordai di cadere tra le sue braccia, e la sua voce che urlava il mio nome.
    Cercai di stringergli la mano, ma non ce la feci, troppo debole e probabilmente sotto effetto di qualche antidolorifico potente. Iniziai a piangere silenziosamente, certa di dovergli un grazie per essere ancora viva. Non sapevo cosa fosse successo, ma sapevo che sarei morta se non mi avesse salvata lui. Come sempre.

    "Mi dispiace tanto..." piagnucolai, singhiozzando e gemendo di dolore allo stesso tempo.
    Mi dispiace tanto.


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    Benjamin "Ben" Schenkkan "Ben"
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    Amore: l'unica cosa in cui io abbia mai creduto


    Lo scorrere del tempo era scandito dalla luminosità che saliva e scemava nel capannone. Non avrei saputo dire se erano passate ore o giorni, tanto ero preso dal respiro di Isabel. Ne seguivo l'andatura sussultoria, a volte lenta, a volte frenetica.

    Doveva aver sognato molto, in quel limbo fra la vita e la morte. Era viva si, ma il colore latteo e il respiro debolissimo in certi momenti, la faceva apparire più un corpo appena deceduto, seppur perfetto. Forse, il suo corpo bramava di restare in quella "luce" al di là, piuttosto che sforzarsi per tornare in quel mondo coperto di morte, sangue, frattaglie, sofferenze e tradimenti. Isabel cercava di trovare una giustificazione al fine di non lasciarci, e forse.. quella.. ero io?

    Stavo pensando alle parole di Harris nel mentre attendevo un segnale da parte di Isabel. Mi giravano vorticosamente in testa e allontanarle era impossibile, nonostante il contesto. D'improvviso però, appena percettibili, le sue dita si mossero. Fu un singulto, un segnale magari di riflesso o incondizionato, ma lo fece. Mi ci attaccai, come a un vitigno sulle rocce di un burrone, pur di non cadere nel baratro. Nuovamente.

    Guardai la sua mano e cercai di non pensare al peggio, attraverso l'immaginazione. Mutai quella sofferenza in tuttaltro, ovvero, immaginai di essere durante il parto della nostra bambina (?), piuttosto che in quella situazione. Il petto ansava lento e misurato, su e giù, e percorrendolo incontrai i suoi occhi. Dolci, un poco stretti, illuminati da un sorriso appena accennato.
    Doveva essere debolissima, ma era viva. E non mi importava d'altro.

    Benjamin.. disse.
    Quando sentii la sua voce, il cuore si riempì nuovamente di vita, dandomi nuova forza, nonostante la mancanza di sonno, di cibo e la voglia di andare avanti. Ero stato lì a tenerle la mano per un tempo sconosciuto e non mi interessava: non volevo altro che quel sorriso, udire ancora quella voce, sentire una lenta e leggerissima stretta da parte sua. Le falangi si mossero delicatamente, tentando di avvinghiare teneramente la mia mano.

    Le sorrisi, sincero e finalmente libero da ogni paura: di averla persa e di aver sprecato il tempo che ci era rimasto, in maniera così ridicola, stando stupidamente lontani. Non riuscii a dire niente. Le baciai la mano mentre la guardavo negli occhi, convinto che non potessi sfiorarla per paura di far danni o di stancarla ulteriormente, ora che si era ripresa e potevo guardarla negli occhi. Occhi vivi e bellissimi.
    Non parlammo a lungo, guardandoci negli occhi. Continuavo a strofinarmi la sua mano sulla faccia, socchiudendo gli occhi e gustandone la morbidezza e le forme, preoccupato di poterne profanare la bellezza, ma troppo esaltato per non farlo.

    Non risposi alla sua affermazione, non subito almeno, convinto che invece avrei dovuto scusarmi io. Per fortuna non seguii l'impulso e rimasi lucido. Non c'era più bisogno di dirsi quelle cose, non dovevamo più scusarci, ma trovare un punto di incontro invece. Stare lontani era impossibile e l'amore, che in così poco tempo ci aveva presi, travolti e impregnati, era difficile da spiegare. Come da contrastare.

    Lei non aveva afferrato realmente quanto io fossi diverso da tutti gli altri da lei conosciuti fino a quel momento.
    Io non avevo capito che mai potevo sperare di trovare una come lei, NUOVAMENTE. Che mi aveva salvato, sacrificandosi con tutta sè stessa, e quasi votandosi a me.
    Dovevamo accettare che tutto fosse cambiato. Che noi fossimo cambiati.

    Le avevo fatto gesto di stare in silenzio, di non sforzarsi e di non scusarsi. Ed ero convinto avesse capito. Quando fui sicuro di aver intravisto un pò di colore sul suo viso così etereo, e lasciando che si addormentasse e risvegliasse almeno un paio di volte, mi avvicinai alla sua faccia, in ginocchio da lei.

    Le baciai delicatamente la fronte e il mento, spigoloso e invitante. E le parlai a cuore aperto. Senza pensare al fatto che potesse sentirmi per davvero, o no.

    Isabel.. non mi importava più di niente e di nessuno, poi ho trovato te. E volevo solo che tu vivessi. Non lo avrei mai permesso, non ora..
    Le sistemai i capelli, le asciugai la fronte mirando il collo e l'incavo della gola, magrissimo ormai. Non riuscivo a trovare niente di sbagliato o imperfetto in lei. Soprattutto sentivo la sua pelle come qualcosa che avevo sempre assaporato. Come se ci fosse una naturale coesione fra le nostre particelle. Al contempo, provai un brivido di vergogna, perchè l'immagine di Steph si stava facendo strada in me e mi redarguiva - giustamente - per un pensiero così denigrante nei suoi confronti. La ricacciai indietro, forse in malo modo, ingiustamente, ma non era il momento adatto. E sopratutto, non poteva ASCOLTARE ciò che stavo per dire.

    Baciai delicatamente Isabel sulle labbra, stringendole la mano con delicatezza ma anche con passione.
    Ti amo Isabel.. devi vivere, devi farlo almeno tu.. in ogni caso.

    Mi rispose con segnali deboli. In cuor mio, una parte di me sperava che non avesse sentito. Che mi avesse solo intravisto, che avesse solo percepito un tiepido contatto fra le nostre labbra e avesse tratto la speranza necessaria per andare avanti e non, invece, che sapesse quanto le volessi bene. Quanto profondamente.

    Perchè.. perchè dovevo ancora cambiare. Dovevo essere più forte, per lei e per me. Non mancava molto alla Florida e alla casetta, in cui avrei dovuto scegliere che fare di me. Dovevo forgiarmi, affinchè fossi in grado di capire se ero uomo abbastanza per vivere e viverla. Difenderci. Ma sopratutto essere maturo per poter condividere la nostra vita. Senza drammi, egoismi e paure.

    Intravidi quindi la figura di Harris in fondo al magazzino. Si stava sincerando delle condizioni dei feriti, ma stando ben attento a non avvicinarsi a noi. A lasciarci spazio e tempo, per assimilare ogni eventuale epilogo. Guardi Isabel per un'ultimo attimo, poi mi alzai e mi diressi verso di lui, sicuro che per il momento stesse bene e non rischiasse di lasciarmi proprio in quel momento. Una punto di egoismo inquinò quel gesto, e me ne accorsi, in realtà.

    Avvicinarsi a uell'uomo così enigmatico era sempre qualcosa di "difficile". Lasciare Isabel giusto per un minuto e per parlare con lui era dura, ma altrettanto aprire bocca una volta al suo cospetto. Di quello parlavo: di coraggio e maturità per affrontare anche persone come lui.
    Gli parlai sottovoce
    Adesso sta bene. E' viva. E sono in debito con lei, con tutta questa gente. Isabel vale piu di ogni cosa. Lei ha ragione, non sprecherò più attimi preziosi senza di lei..
    Mi girai istintivamente verso Isabel per sincerarmi che non mi stesse cercando, poi, una volta sicuro, terminai la mia frase con il signor Harris.

    Mi insegni ad usare il fucile, ad essere come lei ed io ucciderò quell'uomo o tutti quelli che hanno a che fare con questa cosa. Mi dica che devo fare, sono pronto.

    Ma ero pronto davvero?


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    Il signor Harris guarda fisso Isabel, mentre Ben si avvicina, con le mani sui fianchi e la testa poco inclinata di lato. Osserva Ben solo di sottecchi, quando questo gli si fà vicino. Era l'unica cosa che volevo sentire. Che Isabel fosse viva.

    Gli occhi bassi e lo sguardo perso in chissà che pensieri, Harris risponde a Ben dopo una pausa ad effetto.
    Purtroppo devo accettare la sua proposta signor Schenkkan. Non volevo sentirlo, ma lo devo fare. Mi capisce?

    Harris si avvicina a pochi centimetri dalla faccia di Ben, senza il minimo timore e indugio, sussurrandogli le ultime parole.
    Capisce che devo farlo? che dobbiamo farle certe cose? Che i buoni e i cattivi sono concetti fumosi oramai? Che alla fine, contano solo lei, io, Isabel e la gente che crede in me? Le farò un pò male Benjamin, la corromperei se non l'avesse già fatto da solo, chiedendole di uccidere una parte di sè, per sempre.. ma sento che forse qualcosa è già morto. In ogni caso, dopo aver tirato fuori il peggio di lei, dovrò ricacciarlo dentro. Con forza. Ci pensi signor Benjamin. Ci pensi ancora un pò e venga a dirmelo appena lo avrà comunicato anche a Isabel. Perchè d'ora in poi non vi mentirete, mai più..

    Detto questo, Harris va via rapidamente, gelido e scivolando come un ombra. Ben torna da Isabel e le stringe la mano, baciandola e addormentandosi poco dopo a sua volta..


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    Benjamin mi sorrise e finalmente nei suoi occhi non vidi più la paura, la rabbia, il risentimento. Vidi solo amore, e stupidamente pensai che mi sarei fatta accoltellare da Stephanie un'altra volta per poter vedere quegli occhi così felici e quel sorriso così sincero solo per me, carico di affetto. Poi l'ennesima fitta al fianco mi ricordò quanto un altro colpo del genere avrebbe rischiato di compromettere la mia vita.
    Piansi per un po', silenziosamente, finché il respiro non si regolarizzò e le lacrime non si furono seccate sulle gote.

    Mi godetti pacatamente il suo sguardo mentre portava la mia mano vicino alle labbra e ne baciava il dorso e le dita, solleticandomi la pelle con la barba incolta.Non dissi nulla, nonostante nella mia testa si stessero formulando migliaia di domande. Sapevo che non era possibile che fosse stata Stephanie ad accoltellarmi, era stato solo un sogno molto realistico, ma non riuscivo a ricordare cosa fosse successo.
    Sapevo solo che stavo cercando Ben e che quando lo avevo trovato ero svenuta tra le sue braccia.

    Al suo gesto dolce intuii che avesse ragione, che non era il momento giusto per parlarne e che il mio corpo implorava pietà e voleva solo riposo, niente più stress, tremori, paura. Allungai l'indice verso la sua guancia, accarezzandola con il polpastrello con un movimento goffo e lento causato dalla mia debolezza e dagli antidolorifici dei quali dovevo essere imbottita. Ogni tanto mi si annebbiava la vista e dovevo sbattere le palpebre un paio di volte per rimettere a fuoco il suo volto, sforzandomi di restare sveglia. Il mio petto si alzava e abbassava regolarmente, e la sua mano iniziava a scaldare la mia, prima fredda come la neve. Gli sorrisi debolmente, mentre sentivo un calore familiare espandersi nel petto. Decisi di dimenticare tutto quello che era accaduto prima, e il risentimento che gli avevo letto nello sguardo quando avevo cercato di convincerlo a fermarci a Malone per un po'.

    Volevo solo godermi quel momento, come fosse parte di un sogno dal quale non avrei voluto svegliarmi. Chiusi gli occhi per un po', rilassata, e quando li riaprii lui era ancora lì, la mia mano stretta nella sua. Quando incrociò nuovamente il mio sguardo si sporse verso di me, baciandomi la fronte e il mento con dolcezza e strappandomi un sospiro di sollievo, come se quella fosse l'unica cura di cui avevo bisogno.
    Chiusi gli occhi, e quando li riaprii mi ritrovai in una camera da letto, Benjamin ancora sporto su di me.

    Le pareti erano di pietra grigia, e un fuocherello tiepido scoppiettava nel camino. Capii che ero nella casetta in mezzo al bosco, e che lui mi aveva salvata.
    "Isabel... non mi importava più di niente e di nessuno, volevo solo che tu vivessi. Non lo avrei mai permesso, non ora che ti ho trovata." mi disse, accarezzandomi il volto. Socchiusi gli occhi e cercai la sua mano con la mia, debolmente, prima di lasciarla cadere sul mio petto, senza forze. I suoi occhi erano così caldi che fecero battere il mio cuore più forte, facendomi sentire più viva.
    Poi le sue labbra furono sulle mie, morbide e dolcissime.

    Chiusi gli occhi, assaporando quel bacio pieno di calore, e quando si staccò da me li riaprii, cercando i suoi come fossero calamite.
    "Ti amo Isabel... devi vivere, devi farlo almeno tu.... in ogni caso" mormorò.

    Capii che non mi serviva nient'altro. Che i non morti, che Stephanie e che la ferita al fianco erano solo un contorno disegnato a matita che avrei potuto cancellare, che Benjamin ed io eravamo il vero dipinto, indelebili.
    "Anche io ti amo Benjamin, e anche tu devi vivere... Senza di te non sono nulla" risposi, stringendogli la mano. Lui sorrise rassicurante e mi posò un altro bacio sulla fronte, alzandosi.
    "Ora riposa" mi disse, "Quando ti sveglierai sarò qui ad aspettarti."

    Con il cuore più leggero mi assopii sotto alle coperte calde, con il sapore dolce delle labbra di Ben ancora sulle mie. Quando riaprii gli occhi la luce forte del giorno illuminava la stanzetta con le brandine, e il camino e le pareti di pietra erano sparite. Benjamin però c'era davvero, assopito sulla sedia di fianco al mio letto, e nel vederlo sentii le farfalle ricominciare a svolazzare nel mio stomaco. Sapevo che era stato solo un sogno, ma quel "Ti amo" era stato così reale e carico di sentimento che non riuscivo a cancellarmelo dalla testa.

    Il sangue era stato ripulito dal pavimento, il meglio possibile. Restavano solo aloni rossi qua e là, ma non c'era più il tanfo di morte di prima, e c'erano molte meno persone sdraiate sulle brandine. Mi chiesi se fossero morte, o se si fossero riprese. Quanto avevo dormito?
    Stando attenta a non svegliare Ben abbassai lo sguardo sul mio corpo. Alzai la coperta e notai che mi era stata tolta la camicetta. Il fianco era stato medicato e fasciato, e le lenzuola erano pulite. Come avevo fatto a non svegliarmi se mi avevano lavata, medicata e addirittura trasferita su lenzuola pulite?

    Il fianco faceva tanto male, ma meno di quanto mi aspettassi, forse ero ancora sotto l'effetto degli antidolorifici, anche perché la sensazione di pesantezza non se n'era andata affatto. Avevo una gran fame e mi girava la testa, ma ero viva. Non mi ero mai sentita così tanto viva in tutta la mia vita, probabilmente. Allungai una mano tremante verso la mano di Benjamin, sfiorandola delicatamente.
    Non volevo svegliarlo, ma mi mancava la sua voce, mi mancava tutto di lui, e in quel momento non volevo restare sola.


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    Benjamin "Ben" Schenkkan "Ben"
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    Amore: l'unica cosa in cui io abbia mai creduto


    Non fosse stato per il dolore bestiale al collo, ero sicuro sarei andato avanti a dormire per giorni, tanto ero stanco. Mi svegliai senza più sensibilità alla fronte e sopratutto al braccio sinistro. La mano, quella stringeva Isabel, invece no. Subito notai la differenza di temperatura: non era più il pezzo di ghiaccio a cui avevo tentato di infondere tutto il calore possibile. La guardai ammirato, notando come anche il pallore del viso era andato scomparso. I lineamenti erano più distesi, di sicuro grazie ai tanti antidolorifici che le avevano somministrato e che io stesso avevo avuto modo di enumerare. Malignamente, mi dicevo che ne avevano fatto quasi un abuso per via della sua "importanza". Per via del fatto che lei era pur sempre una STAR, ma al contempo, il pensiero che Harris avesse fatto "differenze", cancellò ogni pensiero oscuro. Con disappunto della mia cara amica Troia.

    Per un attimo sentii che la necessità di parlare con Harris - e quindi di AGIRE per quello che VOLEVO IO - stesse prendendo il sopravvento su Isabel, poi per fortuna la vidi aprire gli occhi e tornai su di lei. Con un dito, mi stava sfiorando il dorso della mano. Le baciai immediatamente la sua, portandomela al volto.

    Isabel.. non parlare, sei ancora troppo debole. Se puoi ascoltarmi e ce la fai a capirmi, stringi appena questo dito attorno al mio, due volte.

    Attesi mentre un sorriso dolce come il miele le si allargava sulla faccia ed un leggero rossore le tingeva le guance di un goloso color fragola, facendomi venire davvero voglia di morderla. Di stringere fra i denti quella guancia così bella e candida, oramai ripulita dal sangue e dalle rughe di dolore.

    Strinsi le dita, strappandomi un sussulto. Le sorrisi, cercando di essere il più sincero e il meno freddo possibile. Ci mi si un pò prima di trovare le parole e il coraggio, tanto ero distratto dalle emozioni che mi facevano sobbalzare il cuore ad ogni tentativo. Dovetti sfiorarle la mano e baciarla a lungo, prima di trovarmi a mio agio.

    Sei viva Isabel, e tutto il resto non conta. I fatti accaduti, le parole dette e non dette, niente. Conta solo che tu sia viva.
    Le baciai il braccio, l'incavo e me lo strinsi alla faccia, sempre più bisognoso di lei e del contatto fra noi. Volevo farglielo capire.
    Non ti lascerei mai, lo sai. "mai più divisi" avevamo detto, ricordi?

    Mi avvicinai al suo viso, cercando di non farla sforzare e abbassai il tono di voce, sussurrando infine.
    E non lo farò, se tu non vorrai. Ma devo aiutare il signor Harris.. lo devo aiutare a fare una cosa e luiaiuterà me a farne una per noi. Voglio uccidere chi ti ha fatto questo Isabel, voglio eliminare ogni forma di ostacolo sul nostro cammino, voglio che non ci sia più niente fra te e me, o che metta a repentaglio la nostra vita. Non si tratta solo di questo attacco, ma di come sono io.. se voglio sopravvivere a Miami, devo avere il coraggio di farlo.. Nel mentre guarirai mi dovrò allontanare qualche giorno. Solo poche ore, se tutto va bene. Ovviamente rischierò di non tornare, ma devi capire che non ti sto lasciando.. che lo faccio per Malone, per Harris, per rendere questo posto sicuro e..

    La baciai teneramente la guancia, ancora più porpora, poi lo zigomo, ma me ne pentii subito, perchè la sentii gemere e agitarsi.
    shhhh! shhh! ferma Isa, ferma.. non ti muovere, devi riposare. Io tornerò appena possibile. Devi promettermi di fare il possibile per guarire e io farò il possibile per tornare.. da te.

    Le sistemai le coperte e mi spostai ancora un pò più vicino-
    Devo imparare Isa. Devo capire come essere il signor Harris e Ben allo stesso tempo. Devo essere pronto a combattere i miei demoni se voglio starti accanto. Se voglio sopravvivervi.. Voglio rispettare la promessa, ma non sono pronto ad affrontare il dopo, ad essere sicuro di essere uomo abbastanza per tutti e due.

    divenni cupo, seppur stessi tentando in ogni modo di non esserlo..
    C'è ancora Stephanie in me. Io sono sempre stato uno di quei pappagallini che hanno un solo amore per volta, sai? Quando uno muore, muore anche l'altro. Ma io ero troppo vigliacco per lasciarmi morire, avevo paura, capisci? è questo il dolore che mi porto dietro, il fardello del rimorso. Il cammino che ho intrapreso èl'espiazione, il purgatorio per capire se sono degno di essere uomo e vivo. Lo devo finire questo cammino e solo allora avrò il coraggio di ucciderla, come avrei dovuto fare mesi fa.. o di uccidermi. Sono queste le cose che mi porto dietro da tanto Isabel. E tu, nel male e nel bene, sei l'angelo che mi sta salvando. Che mi ha dato una seconda possibilità.. a qualsiasi prezzo e le indicai la ferita, per farle capire quanto era, quel prezzo.

    La baciai leggera sulla guancia ancora una volta, mentre piangevo e mi confessavo
    Seguirò Harris.. non so cosa voglia fare, pare sia qualcosa di difficile da spiegare persino ai suoi compaesani, per questo ha scelto me. Uno "straniero", con qualcosa da imparare.. Tu avrai modo di pensare su quanto sei disposta a soffrire per me. Di pensare sinceramente se seguirmi con coraggio e accompagnarmi al patibolo con l'incertezza di sapere se il boia avrà la meglio oppure no. Non sappiamo che ci aspetta Isabel.. sappiamo solo che cosa abbiamo.

    Le strinsi la mano e aspettai un segno positivo. Di accondiscendenza. Sarebbe potuto arrivare subito, come tra un mese, poco mi importava: sarei stato al suo fianco per tutto il tempo necessario che le serviva per assimilare la cosa.

    Quando sarai pronta, rispondimi. Io per ora sono qua. Accanto a te.

    Mi misi a sedere, guardandola sonnecchiare e rianiimarsi più volte. Ed ogni volta che mi vedeva, mi sorrideva, scaldandomi il cuore e facendomi piangere sommessamente. Non sapevo nemmeno se aveva capito cosa le avevo detto.. temevo infatti che Harris mi prelevasse prima del tempo.

    Sentivo il ticchettare. Sentivo la troia sussurrare. Sentivo una voce familiare, di un mio amico, che mi diceva altro. Sentivo voci.
    E non quella di Isabel, fra esse.

    Forse ero già perso.

    E forse, lo sapevo già.



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