INTO THE STORY - IL CONTEST - Z3r0mbie - "Alone"

Jim's Last Words

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    Benjamin "Ben" Schenkkan "Ben"
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    Amore: l'unica cosa in cui io abbia mai creduto



    "ALONE"





    I'm alone (I never wanna be alone),
    now i turn to face the cold.
    I'm alone (I never wanna be alone),
    now i turn to travel home.

    [..]

    I'm alone (I never wanna be alone),
    now i turn to face the cold.
    I'm alone (I never wanna be alone),
    now i turn to travel home.

    She'll come back to me (She'll come back to me).
    She'll come back to me (She'll come back to me).
    All alone in this misery.
    She'll come back to me.

    I held out my hands into the light and i watched it die,
    i know that i was part to play.
    My god, my time to die.
    Never want to spend my life alone

    I'm alone (I never wanna be alone),
    now i (now i) turn to face the cold.
    I'm alone (I never wanna be alone),
    now i (now i) turn to travel home…




    Nashville, la città della musica, del rock, folk e country, poi morta e silenziosa, incombeva ancora sulla mia schiena. Era solo un ricordo, un puntino spuntato sulla cartina che segnava tristemente l’ennesima località che mi lasciavo alle spalle. Un passo più lontano dall'orribile ricordo, un passo più vicino al compimento della mia promessa.


    Florida




    Gravavano su di me tante di quelle morti orribili e tante di quelle miserie umane, che non mi era rimasta che una briciola di sanità a tenermi ancorato a questo mondo. Quel piccolo singulto di vita che ancora pulsava in me, era stretto come una edera velenosa ad una promessa e ad un immagine silenziosa nella mia mente.


    Stephanie




    Nel vagare attraverso il cuore degli States, ero finalmente approdato in Georgia: l’ultimo stato che si frapponeva fra me e la mia meta. Era caldissimo, come solo in Georgia può fare, non distante dall’altrettanto assolata Alabama e allo stato del sole per definizione, la Florida.
    Là mi aspettavano due cose bellissime e inquietanti allo stesso tempo.

    Una casa, simbolo effimero della mia promessa.
    Un gesto, quello che mi avrebbe reso libero dall’inferno e finalmente riunito alla mia sposa, alla mia anima gemella. Il suicidio.

    Non viaggiavo mai solo, sempre in compagnia dei miei demoni, chiamati uno Rimorso e l’altro Vigliaccheria. Stavano annidati nel mio stomaco, a litigare con i demoni minori quale Presunzione, Vanità e Stoltezza. Mi guidavano, a volte mi aiutavano pure, ma stavano sempre lì, a prendersi gioco di me quando calava la sera e rigiravo la foto di Steph fra le mani consunte e sporche di terra, sangue e chissà cos’altro.

    Un tempo erano lisce come quelle di una donna, affusolate e abituate al solo uso della penna: gli anni passati alla scrivania e ai calcoli al pc, avevano cancellato persino le orme di quelli precedenti, ovvero quelli spesi a vivere la mia passione più grande dopo Steph e la sociologia, ovvero il Football. Un gran braccio il mio, delle gambe veloci ma non un gran peso. Niente di tutto questo sarebbe stato meglio di quello che sentivo essere più mio comunque, nonostante il ginocchio stroncato ci avesse messo del suo: il mio futuro era quello dello studioso della comportamentistica, del topo che osserva gli altri vivere invece di farlo a sua volta, e con “gli altri” si sarebbe guadagnato il pane.
    Ironia della sorte, in quell’apocalisse volevo soltanto stare da solo. Specialmente dopo quello che avevo vissuto. Solo.. coni miei demoni.

    La vigliaccheria, quella malefica strega che albergava nel mio animo da quando ero nato ma che aveva preso il sopravvento su tutto negli anni, crescendo nutrendosi delle promesse non mantenute, dell’egoismo per la mia carriera e della mia cecità per il vero valore delle cose che, a quel punto, potevo solo rimpiangere, ecco.. quella strega celebrava il Sabbath ogni notte nella mia testa, facendomi passare attraverso la parte più oscura di me, calandomi in un abisso di solitudine e disperazione.

    Andava a braccetto con Rimpianto, che era il mio secondo demone maggiore.
    Questi due bastardi amoreggiavano sulle mie viscere, ogni giorno, ogni notte, tormentandomi e ricordandomi di come avevo lasciato sola Stephanie, di come avevo potuto lasciarla mordere, farla sciupare. Avevo rovinato il più bel fiore del mondo, angelica e delicata, dolce e buona, bella come il sole e invidiata da tutti. E ne ero tragicamente consapevole.

    Pochi mesi prima, convinto di non farcela più da solo, mi ero unito ad un gruppo.
    Erano sopravvissuti, ragazzi come me ma molto più immaturi, senza un vero scopo di vita e quasi a loro agio in quella situazione. Non avevano scopi se non quello di sopravvivere e non avevano ancora idea di cosa albergasse nell’animo umano, infine libero da ogni vincolo, sociale o comportamentale.
    Avevo avuto l’occasione di sfuggire a tutto ma non scappai dalla tragedia incombente: incontrammo un altro gruppo di sbandati, di sciacalli lerci e cattivi dallo sguardo “opulento d’odio” pensai, e da sorrisi come tagliole. Finimmo preda di quei bastardi per cinque giorni, cinque lunghissimi giorni, in cui le ragazze vennero stuprate a turno, mentre noi dovevamo fungere da cavie per gli zombie o da schiavi senza speranza. Quindi loro potevano agire indisturbati: fossero stati violenze o razzie. Legati alle macchine, eravamo impotenti, trattati alla stregua di un cane rabbioso o usati come carote per gli zombie.
    Il quinto giorno fuggii. Lo feci a scapito di due dei miei ex compagni che, sotto i miei occhi, furono divorati senza pietà e fra gli urli.

    Quegli urli mi rimbombavano in testa ogni notte, insieme alla voce di Steph, morsa da uno di quei mostri allo stesso modo e vittima anch’essa della mia vigliaccheria.
    Fuggii, da vigliacco appunto. Senza aiutare nessuno di loro, ed infine finii per vagare fino ad allora: sporco, sudato, logoro, malridotto e con un briciolo di volontà, ridotta a quel punto ad una fiammella appena percepibile.
    Avevo bisogno di un passaggio. Avevo bisogno di cibo, acqua e di riposo, altrimenti non avrei mai macinato quelle migliaia di miglia che si frapponevano fra me e la Florida, fra me e Steph.
    Il destino pareva stare ad ascoltarmi.

    In lontananza, sulla strada da cui mi tenevo sempre ben lontano a meno che non fosse strettamente necessario per raggiungere delle abitazioni, un posto per dormire o trovare cibo, avevo udito una colonna di mezzi arrivare.

    Quello che poteva sembrare un miraggio, era per me una allucinazione. Un inquietante tortura messa lì per finirmi psicologicamente, come se non fosse bastato tutto quello che mi gravava sulla coscienza. Erano distanti, io ero nel fitto della boscaglia, debole, ferito e malfermo sulle gambe. Subito un pensiero si delineò gelido e mortale: non ce l’avrei mai fatta.
    Eppure corsi come uno dei risorti, come un maledetto zoppo o un Forrest Gump dei primi giorni, convinto di farcela. In breve, vetri taglienti e in fiamme mi si riversarono in gola e groppi simili a morsi presero ad attanagliarmi le gambe. Crampi, sete e devastazione fisica di giorni e giorni di marcia forzata e alimentazione insufficiente, mi tagliarono le gambe. Letteralmente.

    Crollai, piangendo come un idiota, come un sacco di merda e fango a rantolare sotto il peso del mio stesso zaino. Penoso e ridicolo, sapevo di essere giunto allo stremo, ma non pensavo di potermi ridurre così.
    Sul fatto invece, di deludere anche a questo giro la mia Steph e tutti quanti, non c’erano mai stati dubbi.

    Un ulteriore beffa sembrava essere stata inscenata apposta per me.
    Li potei udire fermarsi e in seguito captai le loro voci mentre strisciavo senza fiato, incapace di urlare, di farmi sentire: ero certo che se mi avessero trovato, mi avrebbero sparato subito in testa, ingannati dai rantolii bavosi che stavo emettendo.
    I miei demoni ridevano e ballavano sul mio fegato, sul mio stomaco vuoto, graffiandomi le corde vocali fino a farle stridere. Era finita e non ci volevo credere, vigliacco anche in punto di morte. Arreso alla vita ma codardo e impaurito al punto di non voler morire.

    Preda dei miei dubbi, potei sentirmi tutta la strana conversazione degli sconosciuti: mormoravano parole calme, a volume basso, mentre una sola voce sembrava uscire dal coro e sembrava esausta. Era quasi rassicurante, al punto che non resistetti e mi lasciai scivolare in un sonno non voluto.
    Quelle parole dolci, quel sussurrare al bordo della strada, non lo capivo.. ma ringraziai Dio, gli angeli, nemici giurati dei miei demoni, per quel sollievo.
    Pensai che stavo per andarmene e che fossero arrivati ad alleviarmi il dolore, così, inaspettatamente. Non mi sentivo di meritarlo, ma accadde e lo tenni per me. Facendomi coccolare.

    Mi svegliai poco dopo. Un lamentare continuo, una voce dolorosa e carica di follia mi chiamava. O almeno, chiamava qualcuno. Con movimenti lenti, scricchiolando e tremando mi alzai e attraversai quel poco di bosco che ci divideva.

    Con sorpresa, scoprii di trovarmi ad una sola ventina di passi dal bordo alto di terreno che si affacciava sulla strada asfaltata: altri venti passi, e sarei stato salvato. Lo sconforto mi colse e mi preparai ad abbandonarmi lì, disperato, quando la voce tornò.
    Mugugnando, un braccio si sporse da dietro un albero facendomi sussultare e cadere all’indietro, bestemmiando fra me e me per la mia cazzo di vigliaccheria.
    Il demone si agitò e rise. Lo fece a tal punto che mi scossi e ripresi il controllo di me stesso, rimasto ad osservare con occhi vacui quel braccio. Il braccio di una persona viva.

    Mi alzai con in mano la mia accetta sporca quanto me, stupidamente convinto di essere in grado di difendermi; ma forse dentro di me sapevo già che la minaccia non doveva essere grave, altrimenti, Vigliaccheria, mi avrebbe riso di nuovo apertamente in faccia.
    Dopo aver aggirato l’albero dietro cui era poggiato, lo vidi.

    Era un uomo, alto, con la camicia a quadri e la pelle malsanamente bianca. Moro, con i capelli appena appena radi e due grandi orecchie a sventola. Delirava, madido di sudore e con gli occhi quasi ribaltati, poi, improvvisamente tornò lucido. O quasi.
    Buono… spesso non si trovano amici da questa parte della città, se lo sapevo, ordinavo una birra anche per te. Fresca, anzi, ghiacciata..
    Parlava lento, senza curarsi della mia accetta e delle mie sembianze da Sasquatch
    Comunque io sono Jim. Mia moglie non sa che sono qua, ti prego, non dirle nulla..

    Caddi accanto a lui. La strada vuota, tutto il silenzio attorno a noi, lui che delirava e si presentava..
    Ben.. Benjamin Schenkkan, sto cercando la morte volevo dirgli, ma tacqui, esterrefatto e debolissimo. L’ascia mi scivolò di mano e lui parve non accorgersene.

    Ruotò la testa e prese a tossire sangue e schifezze varie, di colore nero-verdastro, riuscendo persino a scuotermi nonostante le centinaia di orribili cose viste fino a quel momento. Se avessi vomitato pure io, sarei morto su di lui, pensai.
    Non mi sono mai fidato.. di quella lì..

    Non c’era un senso a quello che diceva e probabilmente sarebbe morto di lì a poco: aveva una vistosa chiazza sulla maglia, dove forse era stato morso o colpito a morte e l’aspetto era quello di un malato terminale.
    Raccolsi l’ascia, sicuro che non avrei mai potuto uccidere un essere umano e che non avrei mai avuto il coraggio di porre fine alle sue sofferenze, nel mentre lui mi guardò e aprì bocca, lentamente. Lentamente come i miei movimenti e la mia capacità di assimilare quella situazione e il fatto che forse non avrei potuto proseguire: che sarei morto accanto a lui, esausto.
    Come ti chiami? Lo bisbigliò quasi, mentre le sue orbite erano tornate normali, vive, non mollicce e aliene
    Dimmi il tuo nome… tu sai il mio…

    Non avevo la forza di rispondergli. Avevo solo le lacrime, che presero a sgorgare copiose a quella richiesta così banale, di un uomo morente.
    Chi ero io per stare al suo capezzale?
    Perché il destino mi aveva messo lì, dopo che altri ce lo avevano lasciato?
    Era un segno del destino? Un primo passo di redenzione? Una prova?
    Ben. Benjamin.

    Lui mi sorrise, stanco. Bel nome Benjamin, suona come di una persona fedele..

    Mi scossi a quelle parole. Ridivenni vivo, attivo. Mi infuse chissà quale energia con quella frase: pareva conoscermi
    Lo sono.. fedele. Non so più se sono una persona però…
    Non sapevo perché dicevo quelle cose ed esattamente, nemmeno quello che stava accadendo, divenne infatti tutto un tumulto di emozioni e un inarrestabile sequenza di segni quasi divini che parevano dirmi: Avanti Benjamin, non mollare. Hai una promessa da mantenere.

    Che.. che vuol dire? Non sai..
    Vuol dire che non so più se questo è essere.. esistere
    Oh si che lo è.. guarda me, mi hanno investito e sono ridotto ad un.. cumulo di merda
    Non ti hanno..
    Si invece. Sono morto ormai, i soccorsi.. loro non arrivano… ma tu..
    Io non sono i soccorsi.. io non potrei aiutare me stesso, figuriamoci…


    No… tu.. TU.. disse dopo una lunga pausa.

    Allungò un braccio con chissà quale forza, visto che sembrava morire di dolore solo respirando
    No tu SEI, Ancora.. devi andare avanti

    Mi indicò la strada ma non la guardai. Guardai i suoi occhi girare, seguiti dalla testa che si abbandonava lenta e in maniera innaturale, sul petto che non ansava più. Non rantolava più. Non sudava né soffriva più.
    Jim era morto.


    Le sue ultime parole furono “Devi andare avanti”. Ed io, dopo aver ripreso a fare quello che sapevo fare meglio, ovvero piangere, mi alzai con uno sforzo immane, posai le sue braccia in grembo e gli parlai per l’ultima volta.
    Dovevi avere coraggio da vendere, se hai deciso di morire da solo..

    Jim, io andrò avanti anche per te. Grazie di avermene infuso un po’, quel che basta per non fermarmi. Perdonami..



    epilogo



    L’accetta cala su quel che rimane di Jim, mentre un Ben affranto rientra in strada, strascicando i piedi e accelerandone la consunzione.
    Lo farà finchè non troverà un passaggio.
    Oppure la morte.
    O entrambi.



    [..]
    Oh, I will stand arms outstretched
    Pretend I'm free to roam
    Oh, I will make my way
    Through one more day in hell

    How much difference does it make?

    [..]
    Oh, I'll keep takin' punches
    Until their will grows tired
    Oh, I will stare the sun down
    Until my eyes go blind
    Hey, I won't change direction
    And I won't change my mind

    How much difference does it make?

    I'll swallow poison
    Until I grow immune
    I will scream my lungs out
    'Til it fills this room

    How much difference…
    How much difference?





    Code role © Akicch; Restyling by TheIronMaiden - Want it? Get it


    Edited by - Liz - - 27/11/2015, 09:22
     
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