Live the Life - Demons and Dreams

Benjamin "Ben" Schenkkan

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    Benjamin "Ben" Schenkkan "Ben"
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    ? Amore: l'unica cosa in cui io abbia mai creduto




    Il gruppo era chiaramente combattuto. Demoni si aggiravano inquieti in quei petti ansanti, ogni ora, ogni secondo.

    Ero un esperto di quelle cose. Ero un sociologo ed ero afflitto da quelli peggiori: rimpianto, rimorso, vigliaccheria, manchevolezza.

    paramentesito-keszulek



    Ero tante cose, ma non ero niente. Fuori pioveva pesantemente, era inverno pieno e la Florida era distante miglia e miglia. Fottuta Washington: ero stato dirottato da mandrie, mostri di ogni tipo, specialmente umani, in quella direzione. Deviandomi dal mio intento principale: il sud.
    Dentro quel rifugio ero in compagnia di un gruppo eterogeneo, come si confaceva agli ultimi tempi, a quell’apocalisse.
    Una dottoressa, un reporter, un musicista, una giovane studentessa e infine la persona che più mi somigliava per dissonanza con l’apocalisse: lo scrittore.

    Umani, il mio pasto quotidiano. Rapporti sociali umani, il mio lavoro. Un tempo.
    Avrei avuto di che lavorare mesi addietro, con un gruppo del genere. In quel momento però, erano solo figure diafane, aliene, distanti, intangibili. Io pure ero intangibile.

    Me ne stavo spesso in disparte, isolato, convinto sempre più di fuggire ai legami, alle relazioni di ogni tipo. Erano la causa di quello che mi aveva reso un viscido fuggitivo, incurante della fine – terribile - di altri, pur di salvare la mia pelle.
    La storia della promessa, suonava sempre più come una scusa. Una scusa per fuggire il più lontano possibile dai ricordi, dal corpo macilento di Stephanie, da quei posti che mi dicevano di lei, di noi, del mio e del nostro passato.

    Seth, il rocker, mi passò davanti accennando un sorriso e un’alzata di testa. Anni addietro, avrei detto il peggio di uno come lui: avrei detto che se voleva la morte, il buio, l’oscurità, che gli arrivasse. Poi era arrivata per tutti e uno come lui non faceva più la differenza. A pensarci bene, al suo confronto io ero Satana, per i trascorsi umani post apocalittici. Pertanto lo guardavo con nuovi occhi; occhi che erano più neri dei suoi capelli e del suo trucco.
    Gli risposi alla stessa maniera, ritornando alla pioggia che ticchettava furiosamente sul vetro, a poche decine di millimetri dalla mia faccia.

    Sentivo il freddo che trasmetteva, mentre la schiena era calda. Avevo due coperte di lana, gentilmente offerte dalla ragazza giovanissima, Emily.
    Anche lei non aveva trovato il coraggio di parlare al Sasquatch di Chicago, rendendomi le cose più facili. Avevo scorto in lei il terrore puro, la totale mancanza di sicurezza e il bisogno costante di punti di riferimento, di aiuto. Emily si era salvata perché aveva avuto sempre qualcuno come quel gruppo a proteggerla e quello poteva essere solo un buon segno: erano persone sufficientemente a posto. Altrimenti, come sarebbe mai potuta sopravvivere? A malapena mi salvavo io, dimentico di ogni regola sociale, armato e puzzolente come un mostro, forse repellente anche alle zecche da come facevo schifo.

    Un lieve bruciore mi riportò alla realtà: era l’avambraccio sinistro. Guardai la fasciatura bianca e pulita, che un altro dei membri del gruppo mi aveva prontamente sistemato. Si trattava di Rose, una dottoressa coi coglioni, una che aveva avuto un trauma recente che ci accomunava.
    Non avevo chiesto niente, ma Ilea, lo scrittore, mi aveva detto che aveva perso l’amore della sua vita, pochi giorni prima. Tra l’altro, nella maniera più tragica.

    Non ero sicuro se quell’affermazione - sue testuali parole “la maniera più tragica” - era discutibile o meno, ma evitai. Avevo annuito noncurante e mi ero lasciato curare da quelle mani esperte, senza proferire parola o emettere una smorfia per il dolore.
    Dovevo essere sano, in forma, pur di arrivare in Florida e ogni aiuto del genere, cinicamente ed egoisticamente parlando, era il benvenuto.

    Fece la sua apparizione anche Andrew, il fotoreporter. Aveva lo sguardo truce di chi aveva perso ogni speranza, ogni barlume di allegria e costruttività. Forse era molto amico dell’uomo morto suicida pochi giorni prima e ancora doveva ritrovare la gioia di vivere – per quanto fosse stato possibile in quel mondo –, fatto stava che non parlava e non interagiva nemmeno con Ilea, che sembrava il capo di quel gruppo e con cui pareva avere dei dissidi persino.

    Come una comparsa, al fianco di Ilea stava Robin. Una donna molto bella, molto forte, dolce. A tratti, mi sembrava di vedere la versione mora di Stephanie. Non era paragonabile in realtà, in quanto più grande di quest’ultima e con un atteggiamento molto più determinato e non remissivo come lei, di certo però, era che avevano una grandissima forza. Lei era il sostegno di quell’uomo consumato dal dolore, dalla stanchezza, dalle responsabilità.

    Lo potevo leggere inconsciamente, nello schema di quel gruppo. Il mio istinto di sociologo non era certo spento e, come sempre, analizzavo senza volere ogni dettaglio, ogni risposta, ogni gesto.
    Tutto ciò che sapevo, lo avevo dedotto, in quelle poche ore insieme.

    Ventiquattro ore circa prima, ero sulla strada, con l’accetta sporca di frattaglie, mentre mi trascinavo, oramai allo stremo. Il loro gruppo mi aveva semplicemente raccattato con molti dubbi, superandomi prima con la macchina – anzi, quasi mettendomi sotto, convinti fossi stato un pazzo furioso – e poi fermandosi a discuterne prima di farlo.

    Avevo percepito il loro dubbio, in tutti. Tranne che in Ilea.
    Lo scrittore era un uomo buono, consunto e con un’ombra netta negli occhi. Un velo grigiastro che lo teneva un po’ di qua e un po’ di là. Un po’ nel mondo reale dei mostri. Un po’ nel mondo fantasioso degli angeli.
    La barba poco curata e le rughe mi ricordavano me stesso, le poche volte che mi era capitato di vedermi riflesso sui vetri sporchi dei locali saccheggiati, o negli specchi delle case in cui mi ero intrufolato per la notte.
    Le mani erano grandi, nodose, rovinate appena dalla vita attuale. Sapevo che di mestiere usava le dita per battere sui tasti del suo portatile, ma anche che era forte e che quelle falangi appartenevano ad un uomo che sapeva lavorare sodo, persino come contadino.
    Un uomo coraggioso, che magari spaccava la legna per il suo camino, viste le spalle larghe quindi, non solo uno scrivano, un poeta stornellatore, che campava grazie agli introiti dei suoi libri.
    Si capiva da come si assumeva le responsabilità, da come era disponibile e si poneva al centro del gruppo, assorbendo anche le critiche che gli piovevano addosso.

    Realizzai al vetro, vedendo la sua immagine a fianco della mia riflesse involontariamente vicino, che sarebbe stato l’uomo che avrei voluto essere.

    Mi voltai, osservandolo. Avevo lentamente focalizzato anche un’altra immagine e quando rimanemmo soli, aprii finalmente bocca, per rivelargli cosa avevo visto. Solo con Ilea avrei potuto confidarmi: era molto simile a me, anzi, la mia versione migliore.

    Una volta, ho visto un tuo libro, in edicola. Non avevo molto tempo per leggere, col mio lavoro. Mi ricordo chiaramente di aver letto che eri sposato. Che avevi dei figli o uno, non ricordo esattemente.

    Lo guardavo con sguardo grave, ma il mio istinto prese il sopravvento e mi lasciai andare. Se volevo che la mia breve permanenza con loro, fosse stata utile, avrei dovuto capire il più possibile. Crescere il più possibile. Assimilare la giusta esperienza, da un uomo a cui avrei dovuto assomigliare.

    Non è lei, vero? Indicando fuori dalla porta I ragazzini di là, non sono i tuoi figli, ma li guardi come se lo fossero. Puoi raccontarmi che è successo?

    Ilea mi guardava con aria contrita, sul filo delle lacrime. Non lacrime da piagnone, non le gocce di uno che ha rimpianti e rimorsi, no: uno a cui mancava l’aria e sapeva di stare vivendo una vita non sua.
    Un uomo che si sentiva vittima dei suoi racconti, dove, forse, vi era finito per sbaglio. Volendolo, sognandolo troppo.

    Nella stanza attigua, vi erano infatti dei ragazzini. Non avevo colto somiglianze e nemmeno atteggiamenti paterni da parte sua, nonostante fosse chiaro volesse loro un gran bene e volesse preservarli a tutti i costi dai mostri là fuori. Non erano figli di Robin, per quanto potesse sembrare dall’atteggiamento: anche in lei non vi era somiglianza alcuna.
    Per la verità, avevo dedotto si trattassero dei figli di qualcun altro, forse persino del suicida: quella cosa mi aveva dato da pensare e dato conferme su quello che avevo sempre pensato di fare. Se un uomo con dei figli, aveva pensato e infine realizzato, di togliersi la vita, la mia motivazione era ancora più suffragata.
    Ilea guardò prima in basso sul tavolo, poi di nuovo me. La testa leggermente inclinata verso il basso, come sembrava essere il suo atteggiamento naturale, ma non remissivamente.
    No, difatti.
    Annuì a tutto, poi strusciò una sedia portandola davanti a me. Vi si sedette e mi guardò a lungo, muovendo la mandibola su sé stessa, strusciando i denti fra loro e dando alle fossette sotto la barba, un movimento strano.
    Mia moglie si chiamava Ellie.
    Il suo sguardo si illuminò per un attimo. Dovevo apparire così anche io, quando nominavo Stephanie..
    oppure no?
    Avevamo una figlia, Elisa. Le sue donne.
    Come erano morte?
    Non sono riuscito a salvarle..
    Anche io.
    Mi moglie mi ha chiesto di continuare a vivere..
    Anche la mia avrebbe voluto.. non gli ho dato il tempo di dirmelo..
    Di continuare a scrivere e portare il più possibile questi ricordi nel futuro…
    Di continuare ad aiutare la gente, a ricostruire la società. Avrebbe detto così lei.. Aveva davvero tutta questa fiducia in me?
    Avevo una vita perfetta, ma tutto è stato cancellato. Un fulmine si è abbattuto sul mio portatile e ha cancellato ogni dato, ogni file. Avevo ogni cosa si possa desiderare e ora..

    Si voltò un po’ colpevole. Sapevo che si sentiva in colpa per quei sentimenti, che amava Robin con tutto sé stesso, ma che dentro, aleggiavano ricordi e fantasmi troppo belli – seducenti? – e importanti per essere dimenticati.
    Sapevo che eravamo molto simili, che le nostre storie si assomigliavano. Per tutto, tranne per il fatto che io avevo una certezza: non mi sarei mai più potuto innamorare.

    Ora ho Robin.. e queste persone. Sai che voglio loro molto bene, sei un tipo intelligente, si vede. Sotto quella maschera di uomo di neanderthal, si nasconde qualcosa di prezioso, qualcosa di buono. So vedere queste cose, raramente mi sbaglio..

    Il suo sguardo divenne improvvisamente cupo e contrito. Forse parlava del suicida o forse di altro, ma poco importava. Aveva un gruppo che gli ruotava attorno, anche se non lo voleva. Era il suo istinto maledetto da leader, una cosa che mi affliggeva ai tempi del lavoro e di cui mi parlavano tutti i miei superiori
    Sarai un grande Ben, continua così Ben, hai la stoffa da Leader Benjamin..

    Perciò capirai che devo sapere che intenzioni hai, altrimenti, sarò costretto ad allontanarti, o, forse peggio, ucciderti.
    Lo disse con tono freddo, distante. Non era quello che mi aspettavo da lui e difatti, non trasudò cattiveria, ma rassegnazione. Lo capii, benissimo. Non seppi perché, ma lo immaginai benissimo a farmi fuori e poi dispiacersi per il fatto compiuto, mentre mi seppelliva. Magari senza una lacrima, oramai versate tutte.

    Ne sapevo qualcosa e tutto mi parve assonato. Niente storpiava il suo sguardo, quel suo silenzio..
    Annuii.

    Avevo una donna, Stephanie. Era l’amore della mia vita.. partii senza sosta E' morta per colpa mia. Per la mia negligenza, debolezza, stupidità, egocentrismo. Sono un vigliacco, che l’ha lasciata morire da sola, dopo che era stata morsa, per la paura di vederla mutare, per la paura di dover fare “quello che andava fatto”.
    Ilea no, non aveva paura di farlo invece. Già quello che me lo faceva ammirare..
    Io non sono un pericolo, se non per me stesso. Non vi sarò utile, perché sono uno stupido, inutile, sociologo del cazzo e non so fare altro che argomentare sulla validità di una teoria riguardante l’approccio delle persone al consumismo, invece di costruire qualcosa come state facendo voi..
    Cambiai tono. Da cattivo e rassegnato, più che altro con me stesso, a sicuro di me. Il pensiero di Stephanie mi riempì la testa e mi fece estraniare da tutto quel dolore, da quell’assenza di compromessi che era la vita sociale in quel momento. Eravamo tutti schietti, diretti, fatali.
    Stephanie adorava il sole, il caldo, non il maledetto umido di Chicago e gli inverni lunghi, con pochissime ore di sole. Mi aveva fatto promettere che ci saremmo sposati e poi saremmo andati a vivere in un posto caldo tutti i giorni dell’anno. Miami.
    Alzai la testa e lo fissai negli occhi.
    Sto andando al sud, in Florida, per mantenere quella promessa e non ho intenzione di rimanere con voi, tantomeno di farvi del male e rischiare di confrontarvi in qualche modo. Io arriverò là e niente e nessuno mi fermerà o mi distoglierà dal farlo.
    Con quello mi fermai. Non aggiunsi altro, nessuna cosa stupida del genere “se proverete a fermarmi, allora si, che vi farò del male”, così convinto che nemmeno una cosa positiva come quella accaduta fra lui e Robin, avrebbe potuto farlo.
    Come non dissi niente sui miei successivi propositi.

    Proprio con loro, non potevo parlarne. Eppure volli informarmi sulle motivazioni di quell’uomo e sul suo suicidio.
    Hai ucciso tu, quell’uomo? Non fui io a pensarlo, ma la puttana nel mio stomaco a instillarmi quel pensiero.

    La troia era un’entità fatta dai miei demoni, che albergava nel mio stomaco e scivolava spesso nel mio intestino. Un vero pezzo di merda, fatto di rancore, rimorsi, dubbi, che li eviscerava all’occasione e si divertiva con me. Da una parte però, mi era d’aiuto, stimolandomi nei momenti del bisogno e supportandomi nelle scelte difficili.
    Solo che il prezzo da pagare era sempre troppo alto.

    Come mai ha deciso così.. quell’uomo? I figli sono suoi?
    Chiesi.
    Ilea mi guardò, facendo passare diversi minuti fra la domanda e la risposta. Non attimi, minuti. Entrambi eravamo su di un confine talmente labile, da essere la stessa lama che poteva tranciarci in due al minimo errore.
    Io sapendo troppo. Lui, dicendomi troppo. La responsabilità del gruppo difatti, lo stava facendo dubitare e si prendeva tutto il tempo per rispondermi. Il mio silenzio poi, era una tacita ma esplicita conferma alla mia richiesta. Se avessi fermato il treno, dicendo “ok, non importa”, sarebbe stato tutto diverso, ma non lo feci.
    Alla fine rispose.

    In lui sono scoppiati dentro dei bubboni. I demoni interiori. Hanno avuto la meglio su di lui e su ciò che di bello aveva nella vita. Un figlio. Gli altri di là, sono poveri angeli, il cui destino ha ucciso i genitori e ha messo noi sulla loro strada. Julian ha fallito solo una volta nella vita, ed è bastato per rovinare tutto. Aveva Rose, che lo amava più di ogni altra cosa, aveva Valentin, aveva degli amici. Ma i demoni hanno vinto.

    Ilea aveva capito tutto, o almeno così mi pareva.. Mi aveva squadrato, aveva osservato i miei occhi, il mio status, le mie parole. Rimettendo insieme il tutto, mi aveva disegnato a pennello e aveva capito che anche io avevo dei demoni interiori, pesanti come il piombo.

    Tutti abbiamo qualcosa dentro di noi, per citare un collega, “Una Zona Oscura”, dove nessuno entra e dove gli incubi prendono forma. Nella scrittura, li tiriamo fuori e li esorcizziamo, ma se non troviamo il modo di farlo, questi ci divorano dall’interno, come un cancro feroce e maligno.


    Ilea si alzò dalla sedia, rimettendola a posto, nell’esatto istante in cui Robin si affacciò nella stanza, richiedendo la sua presenza per una decisione da prendere.
    Mi guardò ancora una volta e aggiunse
    Una volta là fuori, ricordati che i morti viventi non sono niente, in confronto ai mostri di cui ti parlavo. Quelli li puoi uccidere, spezzare, schivare, annientare. Gli altri sono fatti di noi e nessuno, per istinto, vuole uccidere una parte di sè stesso. E’ quando capisci che non sei più te stesso, che vuoi ucciderti, per intero. Benjamin, giusto?

    Annuii, sconfortato dalla semplicità delle cose dette e da quanto fosse difficile strappare via quei tessuti infetti, dal proprio animo quasi corrotto.
    Quando troverai ciò che cerchi, sarà quello di cui avrai bisogno? Cerca quello di cui hai bisogno, qualcuno magari, almeno saprà dirti quando non sei più te stesso e potrai fermarlo in tempo.

    Ilea non fece cenno al fatto di insistere affinchè rimanessi. Forse sicuro e convinto che sarei andato via in ogni caso.
    Che sarei scappato verso i miei demoni.
    Forse convinto che avessi già perso contro di loro.

    Mi voltai verso il vetro su cui picchiettava ancora la pioggia furente. Vidi un vagante, scosso dal vento e dal rumore attorno a lui, completamente perso sul da farsi e mi ci vidi come stampato sopra.

    Impossibile trovare qualcuno come Steph, per cui valesse la pena vivere.
    Impossibile essere diversi da quelli che si è nati.
    Tornai silenzioso e pensoso, in attesa del momento per andarmene.

    E la puttana si sciolse, accoccolandosi fra il crasso e il tenue, viziosa e trionfante.


    Code role © Akicch; Restyling by TheIronMaiden - Want it? Get it


    Edited by - Liz - - 5/10/2015, 16:35
     
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