Chester - Unexpected as Lightning

Logan, Nadežda, Mandy

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    UNEXPECTED AS LIGHTNING



    Weather: clear, temperate - Heat: 15/19°C - h: 13:00 c.a.

    ROLE BY:

    Logan - Liz
    Nadežda - Rebecca Chambers
    Amanda - aquamärine
    ~ • ~


    Amanda sopravvive quasi miracolosamente all'incidente che l'ha separata dai suoi compagni di Klamath Falls, grazie alle cure di Logan che senza pensarci troppo ha deciso di ascoltare la propria natura di medico e di portare la ragazza a Chester, dove un gruppo di coraggiosi sopravvissuti s'è insediato mettendo in sicurezza un campeggio. L'intraprendente ragazza viene accolta abbastanza benevolmente dall'intera comunità, salvo qualche individuo poco convinto dalla sua riluttanza a parlare di sé.
    Le sue ferite guariscono e dopo un paio di settimane di degenza, solo la gamba le crea ancora qualche problema.
    Mandy viene comunque lasciata libera di muoversi all'interno della comunità, sebbene ci sia sempre qualcuno al suo fianco per aiutarla con le stampelle... In particolar modo il coraggioso Takoda sembra essere particolarmente attratto dalla ragazza, che in lui riconosce una palese famigliarità alla sua "amica" Jodie. Decisa comunque a non rivelare nulla della Safe Zone in cui ha vissuto fino a poco tempo prima, evita di raccontare della ragazza al giovane nativo americano.

    ~ • ~


    LgFuYkb
    Dopo una breve passeggiata di gruppo, Logan e Nadežda decidono di assaporare i profumi e il tepore primaverile, sedendosi in uno dei punti ristoro del campeggio, mentre Emily e Todd giocano a rincorrersi, supervisionati dai sempre più affiatati Thomas e Victoria. Padre Lawrence prosegue invece la passeggiata insieme a sua sorella Deanna e al saggio FDR, che sembra gradire particolarmente l'amicizia dei fratelli Walsh.
    Il frutto del loro amore cresce nel ventre della splendida russa, e i due sembrano essere innamorati più che mai... almeno fino a quando il tarlo della gelosia non sconquassa il già altalenante equilibrio ormonale della futura mamma.
    Mandy dal canto suo, gradisce la compagnia del giovane medico che per primo si è fidato di lei, è quindi ben felice di passare del tempo insieme a lui, anche al di fuori delle quotidiane visite di controllo. Per questo non si trattiene dal farsi accompagnare dall'amico Takoda, al tranquillo angolino ove Logan e Nade stanno silenziosamente ammirando i riflessi del sole sul lago...


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    ↘ These people are my family and if you hurt them in any way, I will kill you.


    Un giorno, avrei ricordato questo periodo della mia vita con malinconia, così come ricordavo le noiosissime serate di gala - cui partecipavo con i miei genitori - come momenti felici, da quando era scoppiata quell'infernale epidemia. Odiavo partecipare a quegli eventi, nonostante fossi comunque orgoglioso dell'operato solidale di mamma e papà, perché finivo sempre col divenire il rampollo single, messo all'asta per le giovani in età da marito.
    Amavo mia moglie con tutto il cuore, ma la mia pazienza nei confronti dei suoi sbalzi ormonali, era prossima all'esaurimento, specialmente da quando avevo salvato Amanda. Nade sembrava esserne gelosa all'ennesima potenza, nonostante l'avessi più e più volte rassicurata riguardo al fatto che il mio cuore battesse unicamente per lei.
    Era così infatti, lei, Emily e il nostro piccoletto, erano tutto ciò che contasse al mondo, per il sottoscritto, ma non potevo comunque venir meno alla mia missione di medico e alla mia natura umana... non ora che l'avevo ritrovata. Senza contare, che al di là della sua iniziale sfrontatezza, Mandy si era rivelata essere una giovane intelligente e alla mano, con la quale non disdegnavo chiacchierare in amicizia.
    Cercavo comunque di dare una certa stabilità emotiva a mia moglie, evitando nei limiti del possibile, di passare troppo tempo con altre donne... era tornata a provar fastidio persino per Vic, che faceva ormai coppia fissa con Thomas.
    Sapevo fossero i suoi ormoni a parlare, una gravidanza era già poco gestibile in tempi migliori, era normale che Nade fosse così scombussolata dovendola affrontare durante l'Apocalisse... con quel suo caratteraccio di base poi...
    Eppure era sempre l'unica donna che mi avesse mai conquistato il cuore, e questa era ormai cosa risaputa da chiunque ci conoscesse.

    Avevamo pranzato e aiutato a rassettare mensa e cucina, decidendo poi di fare una passeggiatina attraverso il campeggio. L'ambiente lì attorno era bucolico, specialmente in quel periodo dell'anno, in cui la natura stava rinascendo più forte, dopo il freddo inverno. L'aria era ancora fresca il mattino e la sera, ma piacevole durante il giorno; il profumo dei fiori e degli alberi, riempiva l'aria beneficiandoci di nuova energia e concedendoci di poter gioire di quanto quel rifugio avesse da offrirci.
    « A più tardi! » salutai Don e sua sorella, che avevano deciso di proseguire nella passeggiata insieme a FDR, fino alla cappella allestita a Est del camping.
    Senza parlarne, avevo deciso di accompagnare Nadežda fino ad uno dei nostri posti preferiti, una panchina poco distante dalle rive del lago, sulla quale amavamo rilassarci, contemplando la pace che regnava sul lago Almanor. Certo che mia moglie approvasse, le avevo circondato i fianchi fino al punto ristoro, per poi offrirle le mie gambe come cuscino sul quale rilassarsi, sdraiata sulla panca.
    Era sempre più stanca oltre che irritabile, non volevo che soffrisse ulteriormente, per questo cercavo di starle vicina il più possibile, evitando persino le uscite di ricognizione insieme a Luke e Ray, che comprendevano benissimo la mia apprensione.
    « Devi ammettere che, tutto sommato, questo posto è l'ideale per crescere i nostri figli... » le dissi, carezzandole il viso. « Non m'illudo sia per sempre, ma lo spero. A Santa Ana ho vissuto per mesi cambiando rifugio ogni giorno, senza avere la sicurezza di un tetto sulla testa o del cibo di cui sfamarmi, quindi il North Shore è una sorta di Paradiso! » aggiunsi, per dar credito alle mie parole.

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    L'inverno era ormai tramontato, le giornate erano maggiormente calde, sebbene con occasionali temporali, e il sole illuminava il campeggio più a lungo, con effetti positivi su tutti; non avevo mai prestato particolare attenzione a riflessioni e osservazioni di quel genere, non ero molto convinta dalla supposizione secondo la quale il sole migliorasse il morale oppure l'umore, tuttavia in parte ero stata costretta a cambiare opinione a riguardo. Riflettendo con maggiore attenzione, avrei comunque potuto prevederlo, prima dell'apocalisse il mio umore era costantemente negativo, qualunque fosse il clima... ovviamente non ero particolarmente più allegra, specialmente in quel periodo, tuttavia talvolta mi rendevo conto di essere di umore migliore - nelle stesse condizioni - quando il sole illuminava le giornate, rispetto a quando il cielo era nuvoloso.
    La realtà era che il mio umore non era determinato in alcun modo dal clima, bensì dai maledetti ormoni che circolavano nel mio corpo e dalla assurda situazione che era stata creata dalla decisione di Logan di soccorrere quella sconosciuta. I giorni, le settimane scorrevano e il mio equilibrio psicologico ne risentiva, ne ero consapevole, sebbene spesso mi accorgessi della mia ridotta lucidità soltanto dopo avere reagito negativamente...
    Quasi non fossero sufficienti gli effetti negativi degli ormoni, la mia condizione fisica era ugualmente precaria: ero costantemente stanca, talvolta perfino esausta, non importava quanto dormissi oppure quanto riposassi, occasionalmente soffrivo nuovamente di nausea e male alla testa, oltre ad altri dolori e all'insopportabile necessità di utilizzare spesso il bagno. Logan e Jean, prima che ci lasciasse, avevano descritto e previsto la comparsa di questi sintomi, per cui ero tranquilla e non avevo detto nulla a mio marito, per non preoccuparlo, sebbene non riuscissi a nascondere il mio nervosismo.
    Non avevo pensato neppure per un secondo che affrontare la gravidanza sarebbe stato semplice, tuttavia, se mi soffermavo sul fatto che avrei dovuto sopportare quella situazione per altri tre mesi, il mio umore peggiorava istantaneamente... anche se, sinceramente, non avrei mai cambiato la mia vita, nonostante tutte quelle difficoltà: desideravo quel bambino oppure bambina, desideravo il frutto dell'amore tra me e mio marito e non avrei mai rinunciato a lui / lei.
    Non avevamo previsto né cercato la mia gravidanza ma, se avessi potuto decidere, avrei comunque voluto quel bambino / bambina, senza alcun dubbio oppure esitazione; mio marito condivideva il mio pensiero, mi aveva confessato, una sera, che il desiderio di avere un altro figlio - perché Emily era la nostra prima figlia, non importava che fosse stata adottata - era apparso nel suo cuore molto tempo prima che ci sposassimo, poco tempo dopo la nascita della nostra relazione.
    Considerando ogni cosa, non importava quale fosse il mondo in cui vivevamo, se non eravamo in grado di apprezzare e sfruttare il tempo che avevamo a disposizione... sebbene fosse un'affermazione ironica in quel mondo, la morte era l'unica certezza della vita, qualunque fosse il luogo, l'epoca o la condizione, potevamo soltanto sforzarci di vivere nel modo migliore possibile. E la piccola creaturina che cresceva e si agitava - talvolta con eccessiva insistenza - nel mio ventre era il dono migliore che la vita avrebbe potuto regalarci, insieme a Emily e al nostro amore.
    Probabilmente quelle riflessioni erano causate, nuovamente, dagli ormoni, non ero incline a pensieri sdolcinati e melensi (sebbene fossi infinitamente meno rigida nei confronti di mio marito e mia figlia)... ma non mi importava, ero convinta della bontà dei miei pensieri e per me era sufficiente.

    La causa secondaria del mio umore principalmente negativo, invece, era maggiormente concreta e, soprattutto, semplice da rimuovere, se Logan si fosse minimamente impegnato. Ignorando, per non alterare ulteriormente il mio pessimo umore, il tempo che trascorreva insieme a Victoria, restava il problema riguardante le attenzioni che riservava ad Amanda...
    Non sopportavo che parlasse spesso con Vic, che conoscevo e di cui mi fidavo, ed era semplice immaginare come potessi reagire alle sue attenzioni nei confronti di una ragazza sconosciuta, inaffidabile, arrogante e... molti altri aggettivi simili. Quella situazione mi faceva letteralmente infuriare e, per quanto fosse un evento raro, aveva la capacità di mostrare a Logan il mio lato maggiormente iracondo, solitamente nascosto dal gelo che mi circondava.
    Una sera, involontariamente, Emily aveva assistito ad una sfuriata nella quale accusavo Logan di preferire Amanda perché, tra varie motivazioni, era anche magra, a differenza mia... la perdita della mia forma perfetta era sempre stata causa di nervosismo ma quella sera avevo realmente esagerato e avevo promesso a me stessa di cercare di evitare scenate di quel genere, specialmente perché non era mia intenzione preoccupare la nostra bambina. Non avevo ovviamente alcun dubbio riguardo mio marito ma non ero molto brava a gestire le mie emozioni e la gelosia cieca, peggiorata dagli ormoni, era decisamente oltre le mie possibilità di gestione...

    Non parlai molto durante la passeggiata successiva al pranzo, immersa nei miei pensieri, rivolgendo la mia attenzione a Logan soltanto quando raggiungemmo la panchina presso il lago; mi distesi volentieri su di essa, appoggiando la testa sulle gambe di mio marito, sorridendogli minimamente, ascoltando le sue parole e scrutando brevemente l'area intorno a noi per verificare che fossimo soli.
    Considerando la desolazione all'esterno delle mura, penso anche io che sia il posto migliore a nostra disposizione abbozzai a disagio, sorridendo per le sue carezze Abbiamo risorse, sicurezza e anche un bellissimo lago da ammirare... non è Los Angeles precedente all'apocalisse ma neppure quella era perfetta aggiunsi serenamente, alludendo ai lati negativi della Città degli Angeli.
    Vivevo in una villa stupenda, con risorse economiche illimitate, non dovevo temere morti o saccheggiatori... ma vivevo con mio padre, imprigionata nella mia casa, circondata da criminali e assassini, senza speranze, senza sentimenti, senza futuro... Logan, spesso, mi definiva il "suo angelo" ma la ragazza che aveva lasciato Los Angeles era tutt'altro che angelica, proprio come la città dove era cresciuta.
    Quindi, ero felice di lasciare la città degli angeli nell'Inferno in cui era precipitata e vivere nel piccolo Paradiso di Chester, sperando come mio marito che restasse tale per sempre.


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    ↘ Alla fine, se non fai attenzione, quello che desideri può distruggerti.


    Chester (così chiamavano il posto) non era una realtà poi così brutta come avevo pensato all'arrivo; era stata una struttura evidentemente turistica, con case di legno ben tenute, un'ottima posizione nella natura e (soprattutto) una discreta organizzazione interna. C'era qualche pecca sotto il punto di vista della difesa e la mia consapevolezza al riguardo mi portava a non dormire tranquilla per tutta la notte. Non mi sarei accollata i problemi di quella comunità anche perché dubitavo che avrebbero prestato ascolto ai deliri di una donna ferita, sul punto di trapassare, e potenzialmente pericolosa ma, se la mia permanenza lì si fosse prolungata ancora, era mio dovere far presente quali fossero I punti deboli su cui lavorare. Forse lo sapevano già, forse stavano già pensando a come risolverli… Meglio aspettare ancora e capire al meglio piuttosto che parlare e fare la figura dell'idiota. Mi avvicinai zoppicando alla finestra della casetta in cui mi avevano sistemato, spostando con le dita la tenda bianca. C'era il sole, e faceva già troppo caldo per I miei gusti. Avevo voglia di uscire, non sopportavo l'idea di restare al chiuso per troppo tempo. Recuperai alla svelta le stampelle e mi avviai alla porta.

    Il senso di prigionia e l'inquietudine in certi momenti erano atroci, insopportabili. Quando arrivai a Klamath Falls, la prima cosa che chiesi a Taylor fu di non offrirmi un ruolo che mi obbligasse a stare al chiuso, come per esempio una addetta alla mensa o all'inventario. Tutti avevamo sofferto da quando il mondo era andato a rotoli, tutti avevamo perso più o meno qualcosa. Non avevo mai parlato con nessuno di quello che avevo passato io; ero stata tentata diverse volte, ad essere sincera, ma alla fine non c'ero mai riuscita. La ritenevo una cosa troppo personale da raccontare a chiunque, e poi non volevo innescare quel fastidioso meccanismo del "a te è successo questo, mentre a me…", no. A condividere non ero mai stata forte… stavo facendo del mio meglio, davvero.
    Stando all'aperto mi sentivo libera, avevo la situazione sotto controllo e potevo prendere decisioni in completa autonomia. Il mio buonsenso bastava a non proporre a cani e porci tutto ciò che Klamath Falls aveva da offrire: protezione, viveri e un discreto benessere.
    A pensarci adesso, iniziavo a sentirne la mancanza. Passavo gran parte del mio tempo all'esterno ma il solo avere un posto dove tornare mi dava sicurezza… Mi ero abituata alle persone che ci abitavano, a quelle che più ero solita vedere ovviamente, e fra queste ce n'era una… Scossi la testa e quel pensiero svanì nell'esatto istante in cui la porta si chiuse alle mie spalle.

    Nelle due settimane di "ricovero forzato" avevo avuto la possibilità di scoprire di più su quella comunità nascosta dai boschi, e intrecciare delle relazioni base che avevano reso la mia permanenza meno complicata. Innanzitutto c'era Logan, il medico che mi aveva salvato la gamba e anche la vita. Era un tipo carino e simpatico; a differenza di tutti gli altri medici che avevo conosciuto non soffriva di deliri d'onnipotenza (frequentate un chirurgo e ve ne accorgerete) e si era sinceramente premurato di sapermi in via di guarigione; era anche l'unico con cui avevo avuto una specie di "imprinting", un senso di fiducia che nessun altro lì dentro riusciva a ispirarmi. Poi c'era Takoda, l'uomo con le trecce. Avevo scoperto che conosceva Pochaontas ma non gli avevo rivelato di conoscerla anch'io, tanto meno di condividere con lei una zona sicura… Non mi sentivo ancora pronta a parlare di Klamath Falls con loro, e questo era un problema che non avevano esitato a farmi notare. Poi c'erano i proprietari, i McCoy, simpatici ma un po' grezzi (specialmente lui). Non provavo avversione verso di loro, non la provavo per nessuno dei residenti, ma dentro di me avevo paura... Il loro modo di essere, così rude e materiale, mi metteva a disagio. Non c'era stato mai un comportamento inappropriato, erano sempre stati tutti molto gentili con me, tuttavia le conseguenze del mio passato complicavano le cose. Avevo difficoltà a dare fiducia alle persone, specie dai modi così... campagnoli; infatti, evitavo di restare per troppo tempo nello stesso posto, a mensa sedevo da sola quando mi andava di mangiare qualcosa con gli altri, e poi c'era la bionda russa... L'odio fra noi due cresceva di giorno in giorno. Aveva un carattere di merda, e non era certo tutta colpa della gravidanza. Se avessi guardato meglio, avrei potuto riconoscere in lei degli aspetti che facevano parte del mio carattere, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo. Impegnavo tutte le mie energie per riprendermi alla svelta e ripartire.

    Alla fine, avevo detto loro il mio vero nome ma non da dove venissi. Dopo essersi assicurati che non fossi stata seguita da nessuno e che il mio gruppo non avesse mire espansionistiche, si erano tranquillizzati (tutti tranne la Russa, lei mi guardava ancora come se fossi la più pericolosa donna al mondo, quella che avrebbe rovinato tutto, e qualche suo evidente sostenitore). Scesi i due gradini saltando con le stampelle quando incontrai proprio Takoda; sorridendo appena gli chiesi se avesse visto Logan e poi di accompagnarmi da lui. Ero lieta di vederlo: Takoda aveva una spiritualità molto profonda e mi piaceva molto parlare con lui quasi quanto a Klamath con Don, e poi era gentile. Camminammo per un po', più ci allontanavamo dal campo meglio mi sentivo. Gli chiesi di parlarmi ancora della sua cultura, dei suoi spiriti guida e anche di Chester. Il passato era passato, quella che avevamo vissuto prima dell'apocalisse era semplicemente un'altra vita che non sarebbe più tornata. Parlarne ancora era inutile, niente di quello che avevamo sarebbe potuto tornare. A chi importava chi fossi prima che una mandria di putrefatti invadesse le città, le strade, le case, ammazzando chiunque? Che senso aveva sapere se eri ricco sfondato o un povero disgraziato della periferia? Nessuno. Prendete me: avevo dedicato tutta la mia vita all'arte della moda, che cosa me ne facevo adesso, in un mondo dove tutti andavamo in giro come dei pezzenti? Solo nei miei sogni potevo indossare ancora I miei vestiti e le mie Louboutin da quattromila dollari. Nessuno immaginava che tipo fossi stata io e avrebbero stentato a crederci, ne ero certa.
    Raggiungemmo i due piccioncini. Il paesaggio era mozzafiato. Avevo capito subito che Logan fosse un tipo romantico (anche troppo). « Vorrei avere la mia macchina fotografica. Non ne avete una, Treccia-T? » sentii, sebbene fossi ancora abbastanza lontana, il "grugnito" seccato di Nadezda. Non la lasciavo mai in pace... « Ops » avevo rovinato per la seconda volta un loro momento di estremo romanticismo. La Russa non l'avrebbe presa bene, lo sentivo.

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    Edited by aquamärine - 20/4/2017, 19:42
     
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    Nadežda faticava ancora ad arrendersi all'idea che non avremmo mai più vissuto in situazioni agiate, specialmente non nel lusso cui era abituata. Anche la mia famiglia era piuttosto benestante, seppur non quanto quella di mia moglie, per cui ero vissuto in una villetta bellissima dell'Orange County, circondato da benessere e spensieratezza, ma a differenza del padre di mia moglie, i miei genitori non mi avevano cresciuto come uno spocchioso ragazzino ricco, superbo e strafottente. L'umanità e l'umiltà erano sempre stati i fulcri attorno ai quali verteva la vita della mia famiglia, così avevo imparato a essere socievole e disponibile. L'esercito aveva forgiato il mio spirito di adattamento, e il mio handicap uditivo mi aveva insegnato ad apprezzare anche le cose più scontate.
    L'Apocalisse mi aveva cambiato, mi aveva conferito nuovi pregi e difetti, rendendomi più attento e meno sprovveduto. Nella vita precedente all'epidemia, avevo un morbido cuscino sul quale atterrare quando qualcuno o qualcosa mi buttava a terra, in quel nuovo mondo invece i rischi erano troppi anche solo per permettere a chicchessia di avvicinarsi...
    Eppure continuavo a farlo...
    Don, Mac, Nade, Jean e tutta la comunità di Stallion Springs, Vic, ed ora i sopravvissuti di Chester... nella maggior parte dei casi mi era andata bene, ma enormi erano state le disfatte nei casi contrari.
    Nadežda non ne poteva più di vedermi rischiare le nostre vite per degli sconosciuti - e sapevo avesse le sue buone ragioni -, ma era più forte di me... sondavo, davo un po' di fiducia, continuavo a sondare, ma entrambi sapevamo benissimo che il mio cuore fosse pronto ad accogliere chiunque il mio istinto avesse già approvato.
    Era infatti successo ancora con Mandy, solo che questa volta mia moglie sembrava averla presa anche peggio del solito...

    Soppesai la sua risposta, immaginando si riferisse alla vita che conduceva prima dell'avvento dei non morti. Era lei quella tra noi che era cambiata maggiormente. Un tempo si sarebbe interessata unicamente a lusso e sperpero, ma nel corso del nostro cammino, aveva capito che nessun posto - nemmeno il più prestigioso e meraviglioso al mondo - fosse perfetto, senza qualcuno col quale condividerlo.
    « Mi basta sia sicuro per voi, tutto il resto non conta... » sospirai con lo sguardo perso sull'orizzonte, carezzandole la spalla, poco prima di sentirla irrigidirsi di colpo.
    Mugugnò infastidita, mettendomi in allerta. Solo allora percepii l'avvicinarsi di qualcuno alle nostre spalle, rumore di passi e di stampelle... ora mi era chiara la reazione di Nade.
    Toccai l'apparecchio acustico con l'indice per accenderlo, quando eravamo al sicuro entro le barricate del North Shore Campground, a volte lo spegnevo per risparmiare le batterie, sfruttando unicamente l'udito dell'orecchio buono.
    Però così facendo non avevo sentito arrivare la sopravvissuta e il giovane nativo americano, che probabilmente non avrei udito in qualsiasi caso, visto che si muoveva silenzioso come un felino...
    « Amanda! Takoda! Anche voi attirati al lago dalla bella giornata? » chiesi loro cordialmente, sperando che Nadežda quel giorno fosse propensa alla socialità...

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    Ero lievemente a disagio in quella posizione, nonostante fossi piuttosto comoda, perché non amavo mostrare i miei sentimenti oppure concedere delicatezze quando rischiavo di essere vista da estranei; il mio concetto di estraneo era differente da quello "normale", perché consideravo estraneo chiunque non appartenesse alla mia famiglia ristretta, ossia Emily e Logan, quindi, ad eccezione di qualche bacio e, eventualmente, abbraccio ero sempre molto fredda. In realtà, talvolta provavo imbarazzo perfino quando mostravo particolare dolcezza all'interno della nostra casa, in presenza soltanto di mio marito e mia figlia... purtroppo per me era difficile superare il pensiero che mostrare i propri sentimenti fosse una debolezza, ero cresciuta con determinati "valori" e non era semplice ignorare le conseguenze di venticinque anni vissuti in quel modo.
    La mia reazione all'arrivo di altre persone fu, quindi, ovvia: sollevai rapidamente la testa, abbandonando le gambe di Logan, per tornare seduta, sbuffando nervosa perché avevo riconosciuto la voce apparsa alle nostre spalle. Cercai, senza particolare successo, di reprimere il mio fastidio, incapace di non notare che casualmente quella Amanda apparisse sempre nelle vicinanze di mio marito; la cittadina era piuttosto piccola, non potevo negarlo, quindi era difficile non incontrarsi a vicenda ma ai miei occhi, la ragazza era sempre al fianco di Logan.
    E la gelosia, ovviamente, mi faceva infuriare, sebbene cercassi di evitare le emozioni negative per la salute del bambino.
    Attirata da Logan, forse pensai stizzita, indurendo istantaneamente la mia espressione, evitando tuttavia di rivolgere l'abituale occhiata mortifera alla ragazza e concentrandomi su Takoda, verso il quale provavo una tenue simpatia. Il ragazzo nativo - americano era sempre silenzioso e rispettoso, non mostrava inutile curiosità e aveva ottenuto abbastanza rapidamente (considerando le mie abitudini) la mia approvazione, diventando uno degli abitanti di Chester che preferivo.
    Ciao salutai soltanto Takoda, senza sorridere, con le labbra serrate in una stretta gelida, voltandomi quindi verso Logan Rientro in casa dissi sinteticamente e freddamente. Non avevo alcuna intenzione di litigare con lui, quindi gli avrei lasciato la possibilità di decidere se restare con Takoda - e Amanda - oppure rientrare con me in casa... ovviamente, se avesse scelto la prima opzione, probabilmente non gli avrei più rivolto una parola per un paio di giorno.

    Mi alzai quindi con uno scatto, senza attendere la sua risposta ma... ma non fu una idea positiva.
    Nei giorni precedenti, avevo provato maggiori dolori rispetto al solito, nulla di invalidante oppure preoccupante, oltre a emicrania e nausea ma quel pomeriggio, il dolore al ventre fu molto forte; i miei polmoni, probabilmente sorpresi quanto me stessa, espulsero istantaneamente l'aria, colpiti dal dolore che improvvisamente percepivo al ventre. Non era nella mia natura urlare oppure mostrare la mia sofferenza, pertanto mi limitai a serrare i denti e a stringere con molta energia il braccio di Logan, crollando pesantemente sulla panchina, piegata dal dolore.
    Logan... riuscii a mugugnare, portando la mano libera a sostenere il mio ventre, percependo anche ulteriori movimenti all'interno che, sinceramente, mi turbarono e spaventarono profondamente. Avevo subito molte ferite e molti colpi durante la mia vita ma, in quel momento, ero convinta di non avere mai provato un dolore simile... e neppure di avere avuto una paura simile, non per la mia salute, bensì per quella della piccola e indifesa creaturina che cresceva nel mio ventre.
    Logan... è molto... aggiunsi, piegando ulteriormente il mio busto verso le ginocchia, nell'inutile tentativo di alleviare la sofferenza e le dolorose contrazioni che squassavano il mio bacino. Era un evento molto raro ma... cedetti alla paura, terrorizzata, percependo anche il disgustoso sapore del vomito nella mia bocca.
    Avevo paura, molta paura, per il mio bambino / bambina, per la sua salute, per la sua crescita... non poteva essere giunto il momento di nascere, era presto, era ancora piccolo e non potevo neppure perderlo prima che nascesse, non... non poteva accadere un orrore simile.
    Fa male Logan riuscii infine a dire, quasi non fosse evidente dalla mia reazione improvvisa, stringendo il braccio di mio marito con tutta l'energia che avessi in corpo, incapace di elaborare un singolo pensiero. Nonostante non fossi sufficientemente lucida da elaborare una riflessione reale e concreta, ero consapevole che la mia estrema difficoltà psicologica fosse dovuta alla paura, piuttosto del dolore...
    Vomitai, in modo umiliante, di fronte a me, "approfittando" di una breve riduzione del dolore, prima che le contrazioni riprendessero, forse anche maggiormente dolorose rispetto alle precedenti...


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    Stare in quella posizione faceva bene al fisico di Nadezda? Insomma, con quel… cosino che le stava crescendo nella pancia, non era scomodo stare sdraiata su una panchina di legno? Guardai lei mentre si rimetteva seduta bruscamente, e poi in piedi, con il naso arricciato e gli occhi ridotti a due fessure, e poi Logan che si mostrò ancora una volta sereno e cordiale. Takoda mi stava al fianco, silenzioso ma presente come solo lui sapeva essere. La sua pelle aveva un odore diverso da quello che solitamente non sentivi sugli altri, un modo di porsi totalmente diverso da quelli cui ero abituata; parlava poco ma giusto, non voleva per forza stare al centro dell'attenzione e aveva molto rispetto per il pensiero altrui. In questo somigliava a Pochaontas, per cui mi dissi che doveva essere evidentemente una peculiarità di famiglia. Avrei dovuto forse dirgli che conoscevo, per lo meno di vista, sua sorella? Confessargli che io venissi proprio dallo stesso posto in cui l'aveva lasciata tempo addietro, rassicurandolo sulle sue condizioni? A tempo debito, magari prima di andarmene… avrei potuto lasciargli intendere qualcosa, in modo criptico com'ero solita fare in casi come quello. Rimasi ferma, spostando il peso del corpo da un piede all'altro. La gamba mi faceva ancora male, niente che un antidolorifico generico non facesse passare. Logan non era stato molto chiaro sulla situazione della mia gamba e del muscolo; pretendevo di sapere se fosse stato compromesso in maniera definitiva, se avrei passato il resto della mia schifosissima vita legata a quelle maledette stampelle, riducendomi a una prigionia forzata a Klamath Falls, la stessa che avevo evitato come la peste, o come I non morti di cui si popolava la Terra da un bel po'. L'avrei affrontato a quattr'occhi molto presto, meritavo delle risposte. Forse a quel punto avrebbe potuto obbligarmi a dirgli qualcos'altro sul mio passato, uno scambio di informazioni - non troppo compromettenti - sarebbe stato ok. Strinsi appena le labbra, salutando Logan, mentre Nadezda si metteva in piedi e faceva penzolare davanti al suo volto i boccoli biondi.

    Vedere donne più o meno grandi di me, in attesa di un figlio, mi innervosiva. Dentro di me non c'era mai stato il desiderio della maternità; i bambini mi mettevano a disagio, con le loro continue domande, i loro fastidiosi gridolini e la tendenza a sporcare e sporcarsi. Quando il ginecologo, anni addietro, mi disse che la mia fertilità era compromessa, o più semplicemente che ero sterile, mi ero sentita sollevata. Ad oggi, con tutto quello che era successo e probabilmente sarebbe successo - niente di buono, ovvio - mi chiedevo come e dove riuscissero a trovare tutte quante la forza di fare figli. Certo, se tutti la pensassero come me a quest'ora l'umanità si sarebbe estinta. Forse avevano visto in Chester un posto sicuro al punto da stabilircisi e costruire una famiglia… Io lo vedevo come un posto pieno di pericoli, terribilmente esposto e, di sicuro, non adatto a me. Tuttavia era un problema che non mi riguardava, non sarei rimasta lì ancora a lungo. Gli altri facessero quel che volevano. Contenti loro, contenti tutti. Giusto?
    La bionda salutò Takoda ed ignorò me. Quella sera dal dispiacere non avrei mangiato... Col cavolo! Lei e le sue stupide gelosie. Si vedeva lontano un miglio che era incazzata per colpa mia: le avevo rovinato la sorpresa della casa due settimane fa; per via della mia ferita, suo marito stava lontano da lei e le sue paturnie da viziatella del cazzo, e per di più Logan osava socializzare con me per non farmi sentire un'emerita deficiente troglodita, sola in mezzo a un gruppo di boscaioli campagnoli che mi facevano venire la tremarella. Eppure la capivo. Sì, la capivo. Se avessi avuto qualcuno, anche a me sarebbero girate le scatole… Come quando lei guardava lui a mensa, e lui sorrideva masticando lo stuzzicadenti. Indurii la mascella e scacciai via quel pensiero. Nadezda si irrigidì di colpo, sprofondando di nuovo sulla panchina. Pensai ad una scenetta comica, di lei che inciampa in un sassolino e iniziai a parlare. « Non ero mai stata qui. È … » ma poi lei richiamò Logan e cambiò tutto. Takoda avanzò di un passo, io lo guardai cercando conferme. Da dov'ero non riuscivo a vedere bene. Mi spostai stando attenta a non cadere e la vidi piegata in due dal dolore. Si teneva la pancia, e Logan la guardava preoccupato. Le faceva domande ma lei rispondeva a fatica. Vomitò, anche. Trattenni il fiato e spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza perdere la stampella bloccata col gomito. « Che succede? » non ne capivo molto ed era difficile spaventarmi. Volevo capire, rendermi utile in qualche maniera. Le si leggeva chiaro in faccia che soffriva. « È per il bambino? » Il fatto che a me non piacessero i bambini non voleva dire che volessi la loro morte. Non ne avrei cresciuto uno io, non li andavo a cercare ed evitavo caldamente la loro compagnia ma... ero ancora sensibile alle sofferenze altrui. Guardavo Nadezda con occhi leggermente diversi, preoccupati. Si era presentata come una donna forte e inattaccabile, vederla così era strano perfino per me che la conoscevo appena.

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    Distesi le labbra, dispiaciuto e rassegnato per il comportamento palesemente scontroso di mia moglie, ma cercai di trasformare quella mia espressione in un mezzo sorriso, per non indispettirla più di quanto già non fosse.
    Ritenevo il modo in cui si poneva a Mandy quasi maleducato e la cosa m'infastidiva, perché non era quello l'esempio che volevo avessero i miei figli. Ciò nonostante amavo Nade più di quanto forse anche lei stessa potesse immaginare, per cui mi risultava difficile affrontarla, specialmente visto il suo stato interessante. Doveva vivere serenamente ed evitare qualsiasi causa di stress, per il bene suo, dei suoi ormoni, di nostro figlio... e anche un po' del mio...
    Però non poteva nemmeno continuare a comportarsi così... sapevo di aver sposato una ragazza con un passato da viziata figlia di papà, ma non sopportavo nel modo più assoluto le persone maleducate e insolenti.
    Non che Mandy facesse comunque molto per cercare un punto d'incontro con mia moglie, ma me ne importava relativamente, non era lei che avevo sposato e che amavo, quindi finché avesse mostrato rispetto nei confronti di Nade, non avrei potuto dirle nulla.
    Avrei cercato di parlare quella sera con Nadežda, a casa nostra e con proverbiale calma... sebbene quella situazione mi urtasse i nervi più del dovuto, non volevo divenire a mia volta motivo di stress per lei, quindi dovevo restare calmo, almeno io...
    Sollevai lo sguardo su Nade mentre si alzava dopo aver dichiarato di voler tornare a casa e mi rassegnai a seguirla, nonostante fosse davvero un peccato sprecare quella splendida giornata rinchiusi tra quattro mura.
    Forse proprio perché la stavo guardando con disappunto, il mio mondo crollò ancor più a fondo nel vedere il profilo della sua espressione, mutare da sfrontato a impaurito e dolente, mentre la sua figura si accasciava debole sulla panchina contorcendosi su se stessa, senza quasi lasciarmi il tempo d'intervenire.
    Fortunatamente la natura e l'esperienza mi avevano dotato di grande sangue freddo, per cui reagii prontamente riuscendo ad attutire parzialmente la pesante seduta a Nade. Le circondai le spalle con un braccio e la sostenni facendola appoggiare al mio fianco.
    Scene del genere un tempo erano state all'ordine del giorno per il sottoscritto, ma mai in tutta la mia vita mi ero sentito come in quel frangente. La mente si era bloccata, tabula rasa completa, il cuore mi batteva all'impazzata, rimbombandomi nelle orecchie e rendendomi ancor più sordo di quanto già non fossi. Le voci mi arrivavano ovattate e confuse, riuscivo solo a vedere mia moglie stare male mentre il mondo attorno a noi era come scomparso.

    ◆ ◆ ◆

    « Personalmente preferisco la tranquillità di una sala operatoria ben organizzata, ma se credi che la tua strada sia nel corpo medico dell'esercito, allora percorrila senza esitazioni figliolo... io sarò sempre fiero di te. »
    Parlare con mio padre era sempre difficile e al contempo istruttivo... era un uomo di poche parole, più atto ad agire che a blaterare, per questo era mamma a occuparsi delle pubblic relation della fondazione benefica da loro fondata. Saggio e comprensivo sotto ogni aspetto, ma freddo e irremovibile all'occorrenza. Era da sempre stato il modello a cui mi ispiravo, per questo sebbene conoscessi già il suo pensiero e la sua totale disponibilità riguardo alla mia carriera, avevo avuto qualche tentennamento prima di parlargliene.
    Aveva sostenuto i miei studi fin dall'inizio ed era stato lui stesso a parlarmi per la prima volta di esperienza medica nell'esercito. Temevo non fosse comunque pronto a lasciarmi andare, che come qualsiasi altro padre avrebbe avuto paura di vedermi intraprendere la carriera militare, invece aveva accantonato ogni timore per lasciarmi la serenità di scegliere con la mia testa.
    Tutto sommato non potevo aspettarmi niente di meno da colui che aveva dedicato la sua vita prima del matrimonio, a Medici Senza Frontiere...
    « Prendi le tue decisioni con consapevolezza e sii sempre coerente con te stesso e con la tua scelta... solo così non sbaglierai mai. »
    Aveva concluso, posandomi la mano sulla spalla e guardandomi con orgoglio negli occhi.
    Era per onorare quel suo sguardo fiero che non avevo mai mollato, nemmeno dopo l'incidente, quando tutti i miei piani sembravano essere andati in frantumi. Mi ero rimboccato le maniche e avevo continuato a essere fedele alla mia natura, scegliendo una strada più idonea al mio nuovo handicap, ma comunque degna del percorso intrapreso fino a quel momento.
    « L'esercito ha perso un valido elemento, ma Santa Ana ha guadagnato il migliore tra i chirurghi d'emergenza sul mercato! »
    Lo avevo sentito dire a un amico di vecchia data, intervenuto a una delle serate benefiche organizzate da mia madre.
    Ed era tutto ciò di cui avevo bisogno per sopravvivere alla mia disfatta... il suo sostegno e la sua approvazione. Forse era semplicemente felice di aver visto tornare suo figlio dalla guerra, sulle proprie gambe - più o meno -, o forse le sue erano solo parole di circostanza, sebbene fosse piuttosto estraneo a blaterare senza motivo, ma sapere di non averlo deluso mi aveva dato una marcia in più...

    ◆ ◆ ◆

    Non era di sicuro quello il momento di disonorare mio padre, non quando era mia moglie a essere in difficoltà!
    Vederla in quello stato, piegata su se stessa e sofferente, mi frantumava l'anima. Nadežda non era certo il tipo di persona che si lasciava andare di fronte al dolore, lei era forte, ostinata ed estremamente resistente, quindi la conclusione era terribile: doveva essere qualcosa di grave...
    Il nostro bambino...
    Il pensiero che potesse capitare qualcosa alla nostra creaturina, mi angosciò come mai nulla aveva fatto prima, ma il timore che addirittura potesse accadere qualcosa a mia moglie, mi fece reagire col consueto sangue freddo.
    « Respira amore, devi respirare e focalizzarti sul dolore. Concentrati e delimitalo... » le dissi al fine di impedire che il panico s'impossessasse di lei e mi ostacolasse nel mio operato.
    « Stai tranquilla, adesso andiamo in infermeria e mi prenderò cura di te amore... ti fidi di me vero? Devi farlo, non permetterò che vi accada nulla! » aggiunsi, prima di voltarmi verso il nativo americano per chiedergli supporto.
    « Portami la sedia a rotelle per favore Takoda, è meglio non muoverla troppo... » dissi, ricordandomi solo in quel momento della presenza di Amanda.
    Purtroppo non avevo il tempo di occuparmi anche di lei, la priorità era ovviamente di mia moglie, ma restai sorpreso nel vederla tanto preoccupata per le sorti di Nade e del bambino...
    Attesi il ritorno del ragazzo e mi feci aiutare ancora a far accomodare Nadežda sulla sedia, quindi la trasportai in infermeria, dove contavo di visitarla e capire quale fosse il problema... ma non ero specializzato in ginecologia, e Chester non disponeva di attrezzature idonee al caso.
    Sperai con tutto il cuore che non fosse nulla di complicato e che mamma e figlio fossero entrambi okay, ma il fantasma della paura continuava ad aleggiare sopra la mia testa, ricordandomi quanto fosse facile di quei tempi perdere la vita.

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    Logan porta Nadežda all'infermeria, seguito dal giovane Takoda e una più lenta ma comunque determinata Mandy.
    Visita la moglie senza però trovare un vero e proprio fattore scatenante di quel malessere, in ogni caso riesce a far attenuare il dolore e a tranquillizzare parzialmente la donna.
    Uscirà solo alcune ore più tardi, mentre lei riposa, per informare il resto della famiglia.
    Troverà ancora una Mandy preoccupata e nervosa nell'improvvisata saletta d'attesa, insieme a Emily e a tutti i suoi amici più cari, ma nessuna vicinanza saprà dargli conforto... o forse sì?


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    È tutta una questione di attimi. Il lampo che anticipa il tuono, l'ultimo sguardo prima di un bacio, il caffè bollente che ti ustiona la lingua, la quiete prima della tempesta vera. Attimi che possono salvarti la vita, oppure portartela via. Nadezda si accasciò sulla panchina in evidente stato di sofferenza, mentre Logan e Takoda si premurarono di condurla in infermeria. Un tragitto che lei riuscì a compiere solo nei momenti in cui le contrazioni uterine cessavano, e solo affidandosi in toto al supporto fisico dei due uomini. Personalmente avrei potuto fare poco per lei: non ero una ginecologa, non ero mai stata incinta (e mai lo sarei stata, per fortuna) e per di più ero zoppa. Tuttavia seguii al massimo della velocità consentita dalle stampelle e un terreno poco livellato il trio verso il centro della comunità, in affanno e preoccupata per la salute di una donna in cui avrei potuto rivedere me stessa, se non fossi stata così orgogliosa e precisa nel sottolineare quanto in realtà fossimo diverse.

    Sarà stata colpa, forse, dei paesaggi californiani che avevano fatto breccia nel mio cuore new england-ese, o che mi stessi abituando a vivere la realtà tranquilla di una safe zone per la prima volta, ma... il malessere di Nadezda Volkvova mi colse alla sprovvista, come il ramo di un albero spostato e dimenticato. Lei, proprio lei che si era presentata da subito come incorruttibile e forte, indipendente e rabbiosa, stava finalmente mostrando la sua debolezza: Feto. In quel mondo, avere una debolezza così palese poteva essere un ostacolo grandissimo, nonché un pericolo. Loro avevano forse creduto di trovare a Chester la felicità e la stabilità che tanto avevano sognato, ma era davvero possibile avere serenità per come stavano le cose? A prescindere, per un istante, dalla realtà di Chester e andando sul generico... Trovare serenità in un mondo così, una giungla dove vince più che mai la legge del più forte, dove devi essere terrorizzato dai vivi e dai morti, è un'utopia o una cosa possibile? Non lo sapevo, chissà se l'avrei mai saputo. Non mi ero legata a qualcuno proprio per non incorrere in certe domande e dubbi, e per questo avrei continuato così. Correvo, allungavo più del dovuto le stampelle facendo uno sforzo più grande, tutto pur di stare al passo ed arrivare lì per sapere come stesse la donna russa che mi aveva risparmiato la vita.
    Sì, Nade mi aveva risparmiato la vita, due settimane fa. Avrebbe potuto spararmi subito, o quando eravamo rimaste da sole in casa, o in macchina. Logan avrebbe potuto fare ben poco in quel caso, un colpo di pistola è istantaneo e quasi inevitabile se ben assestato... Era stata stronza, ma anch'io lo ero stata. Diffidente? Come darle torto. Gelosa? Era anche incinta, bisognosa più che mai di attenzioni da parte del suo uomo... nel mio possibile cercai di capirla, mentre la seguivo con la fronte imperlata di sudore e un crescente fastidio alla gamba sinistra.

    ***


    In infermeria il tempo sembrava non passare più. Avevo appoggiato le stampelle al muro e guardavo una bambina biondissima seduta in quella stanza con la faccina pallida e gli occhi rossi; alcune persone con cui non avevo mai parlato le stavano accanto, tra questi c'era Padre Lawrence, che io chiamavo Don. Non dissi niente, aspettai in silenzio al mio posto combattendo contro il dolore alla gamba, il sudore mi si era asciugato praticamente addosso e odiavo avere l'impressione di puzzare, di nuovo. Accettai da Takoda un bicchiere d'acqua e una compressa di antidolorifico, si era premurato di prendermene una in casetta. Pensai che fosse stato per allontanarsi da quella stanzetta intrisa di stress e ansia e non gli diedi torto. « Perché la ragazzina è ancora qui? » gli chiesi senza guardarlo, in piedi vicino alla finestra, per far cenno ad Emily e Padre Lawrence. « Sono ore che aspettiamo. Se le cose non andassero bene, come... » Logan non era ancora uscito e nessuno di noi sapeva niente. Chester non era attrezzata per quel tipo di cose, dicevano; non lo era per tante cose in effetti... Non deve per forza andare male, ma se lo fosse stato? Sarebbero riusciti a salvare lei e Feto? Feto, sì l'avrei chiamato così. Magari, se fossimo stati a Klamath Falls, avrebbe avuto molte più chance... Finalmente la porta si aprì, lasciando venire fuori un Logan visibilmente stanco e teso. Fu assalito di domande e da ingombranti presenze. Quanto a me, rimasi al mio posto ad origliare quello che disse su Nadezda (stava bene, e anche il bambino apparentemente) ma non sapeva di più perché non c'erano i mezzi per poter approfondire la questione. Come si dice, in quel momento mi si accese la lampadina. Da noi potrebbe. Ci avrebbe rovinati? Compromessi? Devastati? Klamath Falls ne avrebbe risentito, se avessi parlato con Logan della sua esistenza? Aspettai che la piccola folla lasciasse Doc da solo, prima di avvicinarmi a lui piano, senza stampelle, appoggiandomi sulla gamba non ancora guarita per fare passi minuscoli. « Logan, Doc, hei... Sta bene? Sii sincero, dimmi la verità » Mi potevo sbagliare, magari a Chester lui avrebbe trovato il necessario per aiutarla a star meglio; dovevo approfondire prima di espormi in maniera così chiara. Rivelare la posizione di Klamath Falls volontariamente avrebbe anche potuto rivelarsi fatale, non potevo permettermi errori.

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    Mi chiusi in infermeria insieme a mia moglie in preda alla preoccupazione e ai dolori. Sebbene mi avesse fatto comodo un po' di supporto morale - visto il coinvolgimento troppo personale -, avevo preferito evitare l'accumularsi di stress attorno a Nade, cosa che non sarebbe stata facile all'arrivo dei nostri cari.
    Diedi fondo a tutte le reminiscenze in mio possesso, riguardanti la gravidanza, e a tutto ciò che ero riuscito a leggere da quando avevamo scoperto che saremmo diventati genitori. Purtroppo mi ero concentrato prevalentemente sul parto, anche perché i pochi testi medici che ero riuscito a trovare durante il viaggio fino a Chester, parlavano quasi esclusivamente di quello. Ero un chirurgo d'emergenza, non un ginecologo o uno specialista di gravidanze, non conoscevo quali potessero essere le cause del malessere di mia moglie. Potevo unicamente tenere sotto controllo i suoi valori vitali e cercare di farla restare tranquilla.
    Avessi avuto a disposizione un macchinario per le ecografie, avrei potuto controllare lo stato di salute del nostro bambino e, forse, anche riuscire a capire quale fosse la causa di quei dolori, ma non avevamo nulla di tutto ciò... ero stato uno stupido a credere di poter affrontare la gravidanza di mia moglie senza tutti i mezzi necessari a farlo...
    Cercai di tenere i valori vitali, suoi e del bambino - per quanto possibile -, sotto controllo, le massaggiai i lombi per alleviarle un po' il dolore, ma più che altro feci di tutto per distrarla e per tranquillizzarla.
    Il nostro piccolino sembrava muoversi regolarmente, facendomi pensare che probabilmente il malessere di mia moglie non dipendesse da una sua sofferenza. Di fatto ne sapevo quanto lei, non avendo mezzi sufficienti per ottenere altre diagnosi, ma questo - per il suo bene - era meglio non lo sapesse.
    Dovevo decidere cosa fare, valutare la situazione da tutti i punti di vista possibili, per il bene del bambino, ma soprattutto per quello di mia moglie.
    Forse sarebbe bastato tenerla a riposo qualche giorno, farle prendere tutte le vitamine utili alla gestazione e confidare nella fortuna, oppure potevo impazzire e perdere di vista le cose importanti...
    In quel momento ero troppo coinvolto per riuscire a pensarvi lucidamente, avrei solo voluto concedermi qualche minuto di pura disperazione mista a frustrazione per la mia inutilità, ma sapevo benissimo che Nadežda, così come il resto della mia famiglia, contava su di me.
    Non avrei deluso nessuno...
    Avrei dovuto indossare nuovamente e a fin di bene, la fredda maschera che mi aveva accompagnato fin nel Nord della California, quella del soldato risoluto che sapeva tenere a bada anche le emozioni più difficili da contenere. Anche quelle che sembravano troppo.
    Riuscii a tranquillizzare Nadežda, che mi confessò che erano già alcuni giorni che stava poco bene, ma che non credeva fosse qualcosa di grave, per questo non mi aveva detto nulla. La sgridai amorevolmente, perché io volevo sapere tutto di lei e del nostro piccoletto, che in nessun mondo, prendermi cura di loro, sarebbe stato un peso per il sottoscritto.
    Buttò lì persino una specie di apprezzamento nei confronti di Mandy, poiché anche lei era riuscita a notare la palese preoccupazione della ragazza. A dirla tutta, per un attimo la sua "magnanimità" nei confronti della sopravvissuta, mi aveva fatto pensare che stesse delirando, per questo le avevo controllato nuovamente il polso e la temperatura, ma mi ero invece dovuto ricredere...
    La coccolai finché non si appisolò, forse esaurita dai dolori, lasciandomi solo in quell'inutile infermeria.

    Crollai sulla sedia di fianco al letto e lottai con le lacrime che volevano cedessi a tutti i costi. Sollevai lo sguardo verso il cielo, accontentandomi di mirare al plafone dell'edificio, e, forse per la prima vera volta in vita mia, parlai con Dio.
    « Per favore Signore... per favore... » mi limitai a dire, lasciando che l'entità interpellata raggiungesse da sé la conclusione della mia preghiera.
    Desideravo solo che mia moglie e mio figlio stessero bene, e Dio questo poteva facilmente immaginarlo... Padre Lawrence mi aveva assicurato che Nostro Signore era abilissimo a capire l'animo dei suoi figli, e che per parlare con lui mi sarebbe bastato aprirgli il mio cuore.
    Beh, il mio cuore avrebbe anche potuto strapparmelo dal petto, se questo fosse servito a garantire una vita serena e in salute, alla mia famiglia. Lui doveva saperlo e capirlo...
    O forse era tutto sbagliato, forse Dio non doveva e non poteva fare niente, e io stavo parlavo davvero solo al plafone del soffitto...
    Non avevo mai avuto fede, e nemmeno sapevo se volessi averne, ma mi fidavo di Don e lo amavo come un padre... lui avrebbe pregato per conto mio, quel Dio col quale aveva un rapporto naturalmente più aperto del mio.

    Carezzai i capelli di mia moglie e ripresi coraggio dandole un leggero bacio sullo zigomo, senza svegliarla. Dovevo uscire a tranquillizzare il resto della nostra famiglia, che di sicuro ci aveva raggiunti all'edificio.
    Varcai la soglia, pallido e sbattuto come un cencio, ma elargii a mia figlia il migliore dei miei sorrisi forzati. Accolsi il suo slancio e la presi in braccio, dando fondo a forze che non sentivo più di avere in corpo, mentre raggiungevo Padre Lawrence con lo sguardo.
    « La mamma ora sta riposando... va un po' meglio... » dissi, cercando di mostrarmi tranquillo. « Sai cosa devi fare piccola? Ora vai a casa con Don, tranquillizzate anche zia Deanna e chiunque voglia avere notizie, in modo che lei possa continuare a dormire.
    Poi direte tutti insieme una preghiera per lei e per il tuo fratellino o per la tua sorellina... son sicuro che Dio vi ascolterà e domani la mamma starà meglio! »
    mi rivolsi a Emily, guardandola nei suoi umidi occhioni azzurri.

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    La bambina annuii, poi dopo avermi stretto a sé per alcuni secondi, si lasciò scivolare nuovamente coi piedi a terra.
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    « Prenditi cura della mamma. » mi chiese, cercando senza guardare, la mano sicura di Padre Lawrence, per poi lasciarsi accompagnare fuori dall'edificio.
    « Diremo una preghiera anche per te figliolo... Nadenka starà bene, vedrai. » cercò di rinquorarmi Padre Lawrence, prima di lasciare l'infermeria.

    Li seguii con lo sguardo, finché la porta della sala non si chiuse alle loro spalle. Fu in quel momento che mi resi conto di una silenziosa presenza, che aveva atteso fino a quel momento per parlarmi.
    « Mandy! Non dovresti sforzare la gamba. » le dissi, con la poca energia che mi era rimasta.
    Strinsi i denti per evitare di lasciarmi andare allo sconforto, poi abbassai lo sguardo da quello di lei, per riuscire a risponderle, senza crollare.
    « Sono ore ormai, che son lì dentro ad ascoltare i cuoi di mia moglie e di mio figlio, con questo affare... » mugugnai, sganciandomi lo stetoscopio dal collo, per poi tenerlo tra le mani e fissarlo.
    « Ma vuoi sapere la verità? È assolutamente inutile, perché è praticamente impossibile riconoscere e contare i battiti del bambino senza l'attrezzatura adeguata... non so se stia bene e il malessere dipenda solo da Nadežda o se viceversa stia soffrendo anche lui. E non so se a lungo termine questo possa nuocere a uno dei due. » le dissi sincero, cedendo infine alla forza incontenibile delle mie emozioni e lasciandomi scappare qualche lacrima.
    « Mi sento così inutile... » confessai, provando quella sensazione in modo tanto atroce, da sentirmi male quasi fisicamente.

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    Guardare in faccia Logan era come leggere un libro aperto. Era pallido, con delle terribili occhiaie, gli occhi arrossati e gonfi. Mi immedesimai in lui per un solo, interminabile, istante: oltre quella porta, nella stessa stanza dov'ero stata portata io al mio arrivo a Chester, c'era sua moglie incinta con dei dolori di cui nessuno era stato in grado di capire l'origine. Potevano essere prevedibili, quindi normali per una donna al terzo trimestre di gravidanza, oppure una minaccia di qualcosa di più grave. Lui però non avrebbe potuto dire o sapere di più, perché non aveva i mezzi per poterlo fare. A prescindere dal suo non essere un ginecologo o ostetrico o qualsiasi altra figura specializzata in bambini e partorienti... Era un medico e in quanto tale, applicandosi, sarebbe riuscito a capire se ci fosse davvero qualcosa di sbagliato o pericoloso in quello che era capitato a Nadezda.

    Continuare il paragone nella mia testa fra Chester e Klamath era inutile. La prima, semplicemente, non era all'altezza di molte e troppe cose ora come ora; a partire dalle risorse mediche fino alla sicurezza. L'unica possibilità che Logan aveva di poter salvare suo figlio e sua moglie era lasciare quella comunità nei boschi e seguirmi verso nord. Assottigliai lo sguardo e stringendo i pugni per farmi forza mi avvicinai a lui, rimasto da solo dopo aver salutato la figlioletta biondissima.
    Stava facendo del suo meglio e si vedeva. Mi ricordò dei Medici senza Frontiere, che dovevano operare e monitorare i pazienti senza le preziose risorse a disposizione in ogni ospedale; usando mezzi di fortuna, senza luce, senza anestesia avevano il dovere morale di salvare delle vite e ci riuscivano, dimostrando di essere degli eroi. Un incubo perfino per me che, potevo ben dirlo, avevo frequentato assiduamente un solo ospedale nella mia vita: il pluri-premiato Grey-Sloan Memorial di Shondaland.
    Ciò nonostante Doc trovò la forza di riprendermi perché non stavo usando le stampelle. Con tono inizialmente calmo gli chiesi come stessero davvero le cose, ignorando il suo rimprovero perché tutto perdeva importanza rispetto a quel che era successo. Non avrebbe dovuto mentirmi e, come sperai, non lo fece: ogni singola parola uscì trasudando ansia e preoccupazione, senso del dovere misto a impotenza... Distolsi lo sguardo e portai le mani nelle tasche posteriori dei jeans, assicurandomi che non ci fosse nessun altro nei paraggi pronto ad ascoltare quanto avessi da dirgli. Proprio mentre stavo per parlargli a muso duro ecco spuntare le sue lacrime, quelle che gli uomini solitamente nascondono per non mostrarsi deboli. Aveva una grande sensibilità e constatai in maniera assoluta che Nadezda era una donna molto fortunata. « Logan » lo richiamai alla realtà; non ero propriamente brava a confortare gli altri, di solito mi piace asfaltare gli umori, destabilizzare la sicurezza e l'autostima del prossimo... quello avrebbe fatto di me una stronza stratosferica. « Non sei tu ad essere inutile, è questa comunità che non ha un cazzo da offrire. Né sicurezza, né servizi. » parlavo con tono serio, guardandolo in faccia e aspettando che alzasse gli occhi per potergli dire la cosa più importante. « Ok ascolta » umettai le labbra e mi portai davanti a lui, mettendogli una mano sulla spalla. « Klamath Falls, è la mia comunità. Abbiamo sicurezza, cibo, risorse mediche ed elettricità. La nostra infermeria è completa di attrezzature perfettamente funzionanti » cercai di fargli capire tutto quello che dicevo nonostante la sua stanchezza e i pensieri che volavano, con giusta ragione, alla moglie e a Feto. « Tu conosci le strade, in meno di qualche ora potremmo essere lì. È in Oregon, sulle rive del lago Klamath. Posso offrirti molto più di quello che avete qui, posso aiutarti a capire se tua moglie e tuo figlio stanno bene e ti assicuro... che è davvero una zona sicura. Possiamo partire appena Nadezda si svegli, recuperiamo le vostre cose e... » si sentiva spaesato e confuso; avrebbe dovuto fidarsi di me, sulla parola, oppure credere ai pregiudizi di tutti coloro i quali avevano inveito contro di me per il non aver spiattellato subito il luogo da cui venissi? Stringendogli le spalle con le mani, cercai di convincerlo. « Ti sto offrendo la possibilità di salvarvi. Fidati di me »

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    Ero crollato... per assurdo con la persona che conoscevo meno, tra le presenti nella comunità, ma forse era stato proprio quello il motivo per cui mi ero lasciato andare. Ero consapevole del fatto che in altre circostanze, mostrare la mia debolezza a Mandy sarebbe stato un grave errore, ma più la conoscevo più sentivo di potermi fidare di lei. Comprendevo a pieno la sua riluttanza a fornirci informazioni riguardanti il posto da dove veniva, io stesso non avrei agito diversamente, se si fosse trattato di proteggere la mia gente, quindi come potevo biasimarla?
    Non disponevo nemmeno più di un minimo moto d'orgoglio, di fronte al timore che accadesse qualcosa a Nade e al piccolo, perdevo lucidità verso tutto il resto.
    Ero arrivato alle lacrime, ma sentivo di non dovermene vergognare, non aveva senso fare i duri, quando la vita minacciava di portarti via tutto. Me ne sarebbe importato poco se fosse capitato qualcosa a me personalmente, sapevo di poter reggere tutto... ma non questo.
    Quando avevo conosciuto Nadežda, e avevo permesso al suo sguardo apparentemente inflessibile, ma fondamentalmente triste e malinconico, di colpirmi al cuore, ero consapevole del fatto che innamorarmi di lei fosse la mossa meno furba che potessi fare.
    Quando si ama, ci si rende più vulnerabili alla sofferenza...
    Non m'importava di quanto dolore avrei dovuto affrontare, volevo semplicemente amare lei e i nostri figli, proteggerli e dar loro un mondo migliore in cui vivere.
    Avevo pensato a ogni sorta di soluzione mentre ero in infermeria con mia moglie, ma per ogni idea che mi era balenata in testa, l'amara realtà mi aveva riportato coi piedi per terra. Non avevamo attrezzatura ospedaliera idonea e anche nel caso fossi riuscito a trovare macchinari ancora funzionanti, il North Shore non disponeva di sufficiente energia elettrica per farli funzionare...
    Era un vicolo cieco, che in ogni caso mi metteva di fronte a conseguenze incerte.
    Ma la speranza era davvero l'ultima a morire, essa tornava a farci battere il cuore, anche quando avevamo smesso di credere in lei, anche quando tutto sembrava volgere all'inevitabile fine.
    E la speranza quel pomeriggio, aveva un volto e un nome... quelli della ragazza che avevo di fronte.
    Potevo fidarmi di lei? Quello che mi stava dicendo sembrava essere troppo bello per essere vero, e l'esperienza dell'ultimo anno mi aveva insegnato a diffidare di quel genere di aspettative.
    Mi sentivo confuso e agitato, una parte di me avrebbe voluto abbracciare Mandy, prendere Nade e metterla sul più comodo dei veicoli a nostra disposizione, per portarla in questa Klamath Falls, mentre l'altra temeva che fosse troppo rischioso buttarsi alla cieca, con Nade così vulnerabile.
    Potevo organizzare un sopralluogo, mandare qualcuno in avanscoperta per controllare che la comunità da cui proveniva la ragazza, fosse davvero quel che lei illustrava, ma come potevo temporeggiare, quando c'era in gioco la vita di mio figlio o persino quella di mia moglie? E se ci fossimo mossi troppo tardi?
    « Io... io non so cosa dire... » balbettai confuso, pensando che forse avrei dovuto parlarne con qualcuno.
    Fu un sonoro lamento, proveniente dalla stanza oltre la porta alle mie spalle, a decidere per me. Nadežda mi richiamò in preda ai dolori, liberandomi la mente da qualsiasi dubbio... dovevamo muoverci, non potevo rischiare di arrivare troppo tardi.
    « Preparati... mentre esci, chiedi a Takoda di mandarmi Luke per favore. » le dissi, ancor prima di aver varcato la soglia e aver constato le condizioni di mia moglie.
    Non potevo starmene lì fermo a vederla soffrire... c'era una possibilità e quindi l'avrei sfruttata!

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