Winnebago Lake - The Perfect Storm

Wisconsin - Adam e Aileen

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    THE PERFECT STORM
    WINNEBAGO LAKE, WISCONSIN


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    Aileen, Adam e Megan stanno soggiornando da ormai tre giorni presso la villa della famiglia Shepard, tra battute di caccia e crostate di frutta. Tutto sembra procedere nella norma, nonostante le stranezze della numerosa famiglia e la loro salda fede cristiana, che permea tutta la casa, ed anche il capanno della rimessa della barca, che pullula di vaganti catturati e lì imprigionati, nella speranza che qualcuno - forse il Signore - possa un giorno salvarli. Per gli Shepards il capanno non è un pericolo, invece i tre sopravvissuti lo guardano con occhi diversi, o meglio, lo tengono costantemente d'occhio. Specialmente in questo pomeriggio, dove il cielo non sembra promettere nulla di buono. La pioggia ha iniziato a cadere, sempre più forte, sempre più torrentizia, gli alberi si muovono, il lago è ingrossato, e la barca a vela ormeggiata al molo oscilla talmente tanto che sembra potersi ribaltare da un momento all'altro. Tutti sono al riparo all'interno della villa, i bambini col naso attaccato alle finestre guardano là fuori spaventati, gli adulti, beh, loro pregano...Non tutti s'intende.

    Partecipanti e turnazione: Adam, Aileen + Megan (png)
    Ore: 17.00 pm | Temperatura: mite | Precipitazioni: 100%
    Stato Role: APERTA | Infection level: LOW

     
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    Adam Moenning
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    ↘ Siamo creature che non dovrebbero esistere secondo la legge della natura.

    Come sempre pranzare con gli Shepard aveva i suoi lati positivi e quelli negativi. La tavola era sempre imbandita come se fosse un pasto della domenica, con quel che si era riusciti a trovare e a cacciare il giorno prima, tuttavia ogni pasto era preceduto da una preghiera molto sentita, e possibilmente da un breve sermone recitato dal capo famiglia, che ci lanciava di tanto in tanto occhiate di approvazione e di ricerca di consenso. Io avevo imparato a sorridergli, e ad annuire, senza che nessuno dei due gesti in realtà rivelasse qualcosa di sincero. Aileen e Megan mi venivano dietro, e dovevo ammettere che eravamo diventati dei bravi attori. Se solo Samuel ed Elizabeth avessero visto dove tenevo la mano sotto la tovaglia...Mettere a disagio Aileen, da quando ci eravamo così avvicinati quella notte nel bagno della nostra stanza, era diventato un passatempo divertente, oltre che piacevole s’intende. Appena ne avevo l’occasione, le rubavo qualche bacio, o anche qualcos’altro, nascosti nella nostra camera mentre Megan ignara giocava fuori con gli altri bambini. Mi sentivo bene, ero euforico, e non pensavo a nulla. Non avevo più pensato a niente che potesse rattristarmi. da quella notte. Nessun pensiero negativo, catastrofico, apocalittico. Ero – eravamo – in una bolla di sapone dai contorni perfetti, trasparenti e lisci, coi riflessi arcobaleno. Forse l’unica della famiglia che aveva sospettato qualcosa su di noi era stata Faith, che ogni volta che ci incrociava per i corridoi della villa ci lanciava sorrisetti ambigui. Beh, in fin dei conti non facevamo nulla di male io ed Aileen. Eravamo pur sempre sposati, no? Le occhiate di Jacob invece erano più circospette, e sicuramente non vedeva l’ora che ce ne andassimo dalla sua casa.

    Quel pomeriggio la pioggia aveva iniziato a battere forte, sul tetto della villa, sulle finestre, sul porticato. Aveva costretto i bambini a restare chiusi in casa, e gli adulti a passare il tempo con giochi di carte o letture impegnate. Il cielo era scuro, i lampi lo squarciavano con prepotenza. Joseph disse che era in arrivo una tempesta, una di quelle forti, che avrebbe distrutto il piccolo orto di Elizabeth, e fatto morire di paura tutti gli animali potenzialmente cacciabili nel giro di chilometri. Io ed Aileen avevamo deciso di non restarcene chiusi nella nostra camera, ma di restare in compagnia degli Shepards nel grande salotto, evitando però di finire immischiati in qualche momento di raccolta. Io mi stavo leggendo un libro, accomodato sul divano accanto alla tatuatrice, ma le mie orecchie erano tese verso i discorsi di Samuel e degli altri quattro maschi adulti della famiglia. stavano parlando del capanno, quel famoso capanno in cui erano rinchiusi i vaganti che loro “catturavano” e “imprigionavano” ma non per cattiveria, no. Lo facevano solo nella speranza che quelle anime perse un giorno potessero essere salvate. Evidentemente il forte vento e la pioggia potevano compromettere quella fragile struttura di legno, ed inoltre agitare i non-morti che vi soggiornavano dentro. La cosa mi stava facendo montare una preoccupazione non da poco. Guardai di sbieco Aileen, sapevo che anche lei stava origliando il discorso...

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    La pioggia batteva feroce contro i vetri delle finestre dell'ordinato salotto degli Shepard, rendendo uggioso anche l'more dei ragazzini, che desideravano solo di poter uscire in giardino a giocare.
    Persino Megan si stava abituando alla routine di quella famiglia, al punto che guardava sconsolata i suoi amichetti addossati alle vetrate, poggiata con la schiena al battipiede del divano su cui eravamo accomodati io e Adam.
    « Cosa fai mamma? » borbottò annoiata, voltandosi a guardarmi, distogliendo la mia attenzione sia dal blocco di fogli su cui stavo disegnando, che dai discorsi che intercorrevano tra i preoccupati adulti dell'abitazione.
    « Qualche scarabocchio... » le risposi, voltando il notes gentilmente offertomi dalla giovane Mary, che ammirava a tal punto le mie doti artistiche, da avermi più volte chiesto lezioni di disegno durante il nostro soggiorno a casa sua.
    La bambina guardò il foglio con occhi d'improvviso furbetti - probabilmente le era venuto in mente qualcosa di divertente -, ma decise infine di restare in silenzio e tornare a guardare malinconica verso la finestra.
    Avevo rivelato loro di aver frequentato il primo anno di College, proprio grazie a una borsa di studio per l'arte, ma di non esser riuscita a proseguire negli studi. Ed era la verità, per quanto la nostra fosse tutta una messa in scena, preferivo dar loro dettagli veritieri riguardo al mio passato, in modo da non dover ricordare troppe bugie. Di fatto a parte l'impiego ripugnante che mi ero inventata per giustificare l'incontro con mio "marito", e la gravidanza inattesa della piccola girl scout, la mia vita non era stata poi così diversa da quella che avevo loro accennato.
    Più i giorni passavano, più diventava facile immedesimarsi nel personaggi che avevamo creato affinché ci accogliessero in casa loro. Mi ero abituata al fatto che Megan mi chiamasse mamma, così come veniva ormai naturale a lei farlo, e iniziavo a temere che se in futuro ce ne fossimo andati, mi sarebbe mancato quel dettaglio.
    Quello a cui non mi abituavo, sebbene mi rendesse incredibilmente felice, era il rapporto che stava crescendo tra me e Adam. Raggiunta l'intimità vera e propria di una coppia, non avrebbe più dovuto essere un problema per noi dimostrarci affiatati e innamorati come due sposi, solo che non era semplice per me starvi al passo a livello emotivo...
    Naturalmente mi facevano piacere tutte le attenzioni che l'atleta mi rivolgeva, ma ancora mi emozionavo come un'adolescente in piena tempesta ormonale, cosa che non passava inosservata agli occhi di coloro che ci credevano una coppia da ormai diversi anni.
    Le mani biricchine di Adam riuscivano ad agitarmi persino quando meno me l'aspettavo, come durante la benedizione di Samuel per il pranzo di alcune ore prima, o come spesso accadeva mentre aiutavo nelle faccende domestiche.
    Qualcosa mi diceva che l'atleta si divertisse a mettermi in imbarazzo... Ciò che lui non sapeva, era che fossi talmente tanto abituata a sentirmi a quel modo, e che desiderassi così tanto la sua vicinanza - sempre e comunque -, che riuscivo quasi a prendere la cosa con leggerezza. Quasi...
    Il che, considerando me come soggetto, era tutto dire!
    Perciò passavo le mie giornate a "giocare" con lui, arrossendo allarmata per poi lasciarmi andare e godere dei suoi baci e delle sue carezze. Ridacchiando come una sciocca, guardandolo inebetita dai sentimenti che provavo, e cercando nel mio piccolo di vendicarmi con altrettante sfacciate "delicatezze".
    Peccato che fossi disastrosamente impacciata in tutto e che persino essere seducente mi riuscisse veramente male...
    Mi ero accomodata al suo fianco dopo avergli chiesto un rapido bacio, appoggiandomi solo delicatamente a lui, una volta portata a termine la mia parte di mansioni domestiche insieme alle altre donne di casa. L'atleta stava già ingannando il tempo leggendo un voluminoso libro della biblioteca degli Shepard, mentre gli altri discutevano o si distraevano giocando a carte.
    Megan aveva inizialmente partecipato ad un gioco con Mary e Nathalie, ma poi si erano stancate tutte e tre non avendo molto spazio a disposizione per divertirsi, così ci aveva raggiunto al divano, accucciandosi tra i nostri piedi.
    Poggiavo il notes sulla gamba accavallata e disegnavo distrattamente un re e una regina di cuori, vagamente ispirata alla partita di carte che si stava svolgendo sul tavolino poco distante, nonché al rapporto sentimentale che stavo vivendo con Adam.
    Di fatto però ero distratta da quanto dicevano alcuni dei membri della famiglia, riguardo al brutto temporale che si stava scatenando.
    Non amavo quel genere di previsioni, l'avere un tetto sulla testa non ci proteggeva dagli imprevisti che potevano verificarsi. Il lago poteva esondare, l'orto andare perduto e la casa allagarsi... e non volevo nemmeno pensare ai guai che avremmo passato se fosse accaduto qualcosa al capanno dei non morti....
    Meglio non pensarci sul serio, solo l'idea mi rendeva nervosa e tesa, al punto che credetti che persino Adam riuscisse a percepire il mio disagio, visto che per un istante i nostri sguardi si erano incrociati e pareva provasse la mia stessa inquietudine...
    Distesi le labbra indurite dalla preoccupazione, in un accenno di sorriso. Non riuscivo a restare seria quando mi guardava, tutti i mali del mondo scomparivano dentro ai suoi misteriosi occhi cerulei e la mia esistenza tornava a essere "rosa".

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    Adam Moenning
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    Avevo da troppo tempo il libro aperto sulla stessa pagina, sulle mie gambe, poiché non lo stavo più leggendo ma ero invece impegnato ad origliare le conversazioni degli uomini di casa. Non so se dio avrebbe approvato questa mia insubordinazione, e difatti mi sentivo un po’ in soggezione, come se qualcuno di invisibile mi stesse guardando e ammonendo con uno sguardo severo. Quella casa cominciava a starmi stretta, e a darmi strane sensazioni. Il fatto che dio e tutto il resto fossero permeati nelle mura, nelle persone e persino nelle cose, mi rendeva inquieto. Non sapevo spiegarmi il perché. Mi accorsi di questo mio stato apparentemente catatonico, così decisi di voltare pagina in silenzio, dandomi un certo tono. Aggiustai la mia seduta sul divano, scomodando forse in parte l’appoggio di Aileen, e quando di sottecchi incrociai il suo sguardo, capii che le preoccupazioni che mi angosciavano erano le stesse che stavano affliggendo lei, e tutta la famiglia Shepard. Vidi infatti ad un certo punto Samuel ed il figlio Jacob muoversi verso l’ingresso della villa, fermandosi per indossare la mantelline per la pioggia e gli stivali, e prendendo dalla rastrelliera due fucili con cui eravamo soliti andare a caccia. Elizabeth, la moglie, aveva dipinto in viso un’espressione preoccupata, apprensiva, e quando i ragazzini domandarono curiosi dove stessero andando, loro risposero con un finto sorriso che andavano a controllare la barca ormeggiata.

    Era chiaro e lampante che stessero andando a fare altro, ed io non riuscii a trattenermi dal domandare «Tutto ok?» chiusi il libro sopra le mie gambe, e lo misi da parte appoggiandolo sul tavolino sistemato accanto al divano. Mi protesi in avanti con il busto, lasciando definitivamente che Aileen perdesse la sua comoda posizione. Mi spinsi fino al bordo del materasso, già pronto ad alzarmi in piedi, ma la mano di Elizabeth, seduta sulla regale poltroncina lì vicino, mi si fermò sul ginocchio, e con tutta la grazia di cui era dotata mi disse di non preoccuparmi. Il suo sorriso era così angelico che mi sentii pervaso da un brivido sinistro. Forse invece era l’istinto che cercava di scuotermi con qualche segno. E per non far mancare nulla a quella spaventosa serata, un lampo accecante illuminò per un secondo il giardino, terrorizzando i bambini che stavano alla finestra. Ci fu un momento di urletti e schiamazzi, e tutti corsero alle sottane delle rispettive madri, tappandosi le orecchie, perché se c’era una cosa che tutti avevamo imparato da bambini, era che dopo un fulmine seguiva irrimediabilmente un tuono. E così fu. La villa Shepard tremò sotto la potenza di un tuono devastante, che sembrava poter durare all’infinito. Sentii Megan che si abbarbicava al mio polpaccio e i suoi occhi cercare Aileen per conforto. Samuel e Jacob si guardarono in faccia, ed uscirono di casa con una certa fretta. Elizabeth aveva posato la mano sulle proprie labbra, con eleganza, pur dando l’impressione che stesse trattenendo un urlo di paura. Alla fine anche Joseph, il più giovane dei figli, si alzò, e senza comunicare nulla imbucò l’uscita della villa per raggiungere il padre ed il fratello. Adam dava l’impressione di essere il meno coraggioso fra tutti gli uomini, e difatti se ne restò in casa, a porre sotto la sua ala protettiva il figlio di dieci anni. Iniziavo a sentirmi inutile, o per meglio dire, iniziavo a sospettare che qualcosa di serio poteva accadere. Era chiaro a tutti ormai che il pericolo non era il temporale in sé, quanto più il capanno coi vaganti. Gli Shepard lo sapevano, e da come si era mossi, forse non era la prima volta che qualcosa di simile accadeva.

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    Il nervosismo causato dal terribile temporale, era a tratti palpabile. Avvolgeva e irrigidiva ogni singolo membro della famiglia Shepard e non di meno noi tre estranei.
    Non avevo mai amato gli acquazzoni e il maltempo in generale, ma vivendo in Ohio ero piuttosto abituata al suo clima continentale, caratterizzato da inverni rigidi e bagnati. Eppure... ogni volta che il cielo dava cenni di tempesta, il mio pessimismo sembrava aumentare esponenzialmente.
    Connor a suo tempo, era stato piuttosto bravo a distrarmi, riservando ai giorni temporaleschi - naturalmente quando la nostra "relazione" era in buona - coccole speciali e sempre differenti. In quel modo era riuscito a ribaltare la mia meteoropatia, al punto che quando il mio compagno era un po' distante, speravo di vedere spuntare all'orizzonte, grossi nuvoloni anche nella più splendida giornata di sole.
    Da quando si era diffusa quell'orribile epidemia mortale, ero tornata all'idea di partenza. Nessuna distrazione, solo tanto freddo, malanni e timori...
    Avere Adam al mio fianco e un tetto sopra la testa, voleva già dire molto per me, non fosse stato per il nervosismo generale e per i brutti pensieri legati al capanno pieno di ritornati. Anche l'atleta era decisamente teso, non avevo bisogno di guardarlo per rendermene conto.
    La sua apprensione colmò quando Samuel e Jacob si mossero per uscire di casa, appena prima che un violento lampo illuminasse tutta la stanza come un accecante flash. A quel punto i due uomini si affrettarono ad uscire, sulle note del fragoroso tuono che fece spaventare tutti i ragazzini, me compresa. Seguiti a ruota dal più giovane Joseph, scomparvero oltre la soglia, mentre Adam trepidava al mio fianco, intenzionato probabilmente a offrirsi di dare una mano in caso di bisogno.
    Fu Elizabeth a placare lo slancio dell'atleta, che però non sembrava essersi tranquillizzato alle parole della donna. Gli posai delicatamente una mano sulla spalla, incerta a mia volta sul da farsi. Era ovvio che fosse difficile per lui starsene lì fermo, persino io, dal basso della mia codardia, avrei tanto voluto per lo meno uscire a controllare che non fosse accaduto nulla di grave.
    Per superare il tremore che mi si stava agitando dentro, invitai Megan a lasciare il polpaccio di Adam e sedersi in braccio a me. Certo ero l'ultima persona a cui avrebbe dovuto affidarsi in quella casa, ma dopo tanti mesi di convivenza, avevo imparato una cosa importante su di me: quando si trattava di proteggere la bambina, accantonavo persino la viltà che mi contraddistingueva da sempre.
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    « Pensi che la barca sia stata danneggiata dal fulmine? È caduto molto vicino... » mi chiese la piccola, avvinghiandosi dolcemente al mio collo.
    « Non saprei, ma ora se ne stanno occupando Samuel e i suoi figli... non dobbiamo preoccuparci. » le risposi, mentendo spudoratamente, pur sapendo che Meg se ne sarebbe facilmente resa conto.
    « Lo sai che è una frottola che due fulmini non possono cadere nello stesso punto? Ce lo ha insegnato la capo scout al campo estivo... ci ha detto che i fulmini sono attirati a terra da delle specie di sorgenti elettriche e che una volta che queste si ricaricano, possono attirare altri lampi. » mi spiegò, forse più per tranquillizzarsi - e tranquillizzarmi -, ricordando qualcosa che sapeva, che per dar sfogo alla sua naturale verve.
    Cercai di allungare le labbra in un sorriso, ma notai che le parole di Megan avevano in qualche modo turbato persino la serafica Elizabeth, che aveva lanciato un'occhiata piuttosto eloquente a suo figlio Adam e al genero Robert, che erano ancora in casa.
    « C'è qualcosa che non va... » bisbigliai, avvicinandomi appena ad Adam.

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    Adam Moenning
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    Annuii al bisbiglio di Aileen, gettando un’occhiata fuori dalla finestra, benché le tende fossero state accuratamente tirate per impedire la vista minacciosa del temporale ai bambini lì intorno. Elizabeth si era alzata dalla sua regale poltrona, e con una preoccupazione che faticava sempre di più a celare, si mosse verso la porta di ingresso, dal cui vetro temperato che la decorava a forma di rosone, cercava di sbirciare là fuori, in giardino. Un braccio intorno alla vita, una mano ferma sulle labbra: il dipinto di una madre spaventata e di una moglie inquieta. Megan chiacchierava, com’era suo solito fare nelle situazioni che percepiva tese, e sapevo che il solo suono della sua voce era sufficiente in qualche modo a placare i pensieri burrascosi che andavano a disegnarsi nella testa della tatuatrice in situazioni del genere. Aileen non era mai stata una grande ottimista, ma sapeva tirare fuori una grinta sorprendente quando era necessario. Una grinta che probabilmente sorprendeva anche lei stessa. Le misi una mano sulla coscia, mentre cominciavo a mangiucchiarmi l’interno della guancia al pensiero di dover fare qualcosa, o di non fare niente, e pensare solo alle mie due donne. Un altro tuono ci fece balzare sul posto un po’ tutti quanti. Incrociai lo sguardo del mio omonimo Adam, che trasudava puro terrore, e poco più in là vidi la giovane Faith alzarsi dalla sedia del grande tavolo che usavamo per i pasti, e muoversi silenziosa verso il divano che stavamo occupando io, Aileen e Megan. Si sedette accanto ad Aileen, che finì per rimanere in mezzo, e dopo essersi guardata intorno, come di chi cerca il momento giusto per confidare un segreto in una stanza troppo silenziosa, la vidi avvicinarsi all’orecchio della tatuatrice e mormorarle qualcosa. Non potevo sentire con chiarezza, né sarebbe stato sensato sporgermi per prendere parte a quella specie di confessione, poiché avrei attirato gli sguardi di tutti. Le uniche parole che percepii furono capanno...già successo e andatevene...
    Fu a quest’ultimo invito che mi montò nel petto la tipica ansia del capo branco, ed ebbi la certezza che ci stavamo per mettere tutti quanti nei guai. Mi dovetti alzare di scatto in maniera inaspettata e repentina, dato che tutti all’improvviso si voltarono e come automi mi fissarono, aspettandosi chissà cosa. Cercai di dissimulare la mia ansia di andarmene da lì, aggiustandomi la camicia nei pantaloni e schiarendomi la voce «Ehm, perché non cerchiamo di dormirci un po’ su? Mh? Domani sarà passato tutto quanto...» dissi, con un sorriso teso sotto la barba rossiccia. Erano solo le cinque di sera, chi diavolo poteva avere già sonno? Ero pessimo coi sorrisi finti, per fortuna c’erano barba e baffi a rendermi meno impacciato nelle forme fasulle del mio volto. Le mie erano le prime parole che qualcuno pronunciava da quando Samuel e i suoi figli avevano abbandonato la casa per andare in giardino. Sembrava avessi squarciato un silenzio secolare e sacro. Elizabeth fece capolino con la testa dal muro che delimitava l’ingresso della villa e si apriva sulla sala nella quale eravamo tutti quanti. Adam tornò a guardarmi, spostandosi poi a cercare una specie di permesso a muoversi dalla moglie Jamie, che era seduta a terra sul grande tappeto soffice a giocare all’Allegro Chirurgo coi bambini più piccoli. Posi una mano sulla testolina di Megan, facendole una carezza, e poi mi chinai verso Aileen, per darle un bacio sulla fronte, e approfittando della vicinanza le mormorai «Ce ne dobbiamo andare?» era una domanda, e la risposta della donna avrebbe sancito la decisione che giù rimuginavo nella mia testa da qualche minuto: andarcene da lì. Non avendo percepito appieno le parole di Faith poc’anzi, dovevo fare affidamento a quello che mi avrebbe comunicato Aileen...

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    Seguii con lo sguardo Elizabeth finché non raggiunse l'ingresso, le sue movenze palesavano una preoccupazione nettamente superiore a quella che aveva evitato di mostrare fino a poco prima. Così come nella donna, anche la mia ansia cresceva di secondo in secondo, rendendomi inquieta e ancor più pallida.
    Un'altra persona si mosse nella sala catturando la mia attenzione, per raggiungermi sul divano. Faith sembrava essere ancor più allarmata della madre; immaginai volesse conferire con Adam e feci per tirarmi indietro al fine di poggiarmi allo schienale con Megan, ma la ragazza arrestò il mio movimento sussurrandomi delle parole all'orecchio:
    JG5DaEG
    « Spero non sia capitato nulla al capanno, è già successo la scorsa primavera, quando i peccatori erano ancora pochi. Erano usciti tutti... se fosse accaduto di nuovo, andatevene! »
    Il tono freddo e basso della sua voce mi mise i brividi. Era dannatamente seria, il suo era un avvertimento vagamente indorato, volto per qualche strano motivo a volerci proteggere. Quel che non capivo era il motivo per cui, se davvero era così preoccupata per quel che poteva essere successo, non stesse lei stessa preparando uno zaino e sua figlia, per darsela a gambe.
    Faith era tra le ragazze Shepard, quella con la quale avevo maggiormente legato, dubitavo mi avesse detto una cosa simile per allontanarci dalla sua famiglia, come piuttosto avrebbe tramato suo fratello Jacob, quindi non sapevo davvero come interpretare il suo avvertimento.
    Forse anche la giovane si era resa conto che il numero di ritornati chiusi nel capanno, fosse decisamente troppo alto, e che se fossero riusciti ad aprirsi una breccia da lì dentro, tutta la famiglia si sarebbe trovata in guai grossi come montagne. Faith non era sciocca e accecata dalla fede come gli altri Shepard, mi ero ritrovata spesso a considerarla quasi un'amica, grazie anche al fatto che sua figlia e Megan avessero legato moltissimo.
    Perché mi chiedeva di mettermi in salvo, senza pensare anche a se stessa? Fino a che punto era ferrea la presa che Samuel aveva sui suoi discendenti? Ma soprattutto, come poteva un padre rischiare le vite di figli e nipoti, ospitando quelle creature come fossero pecorelle smarrite?
    Digrignai i denti e involontariamente presi a ticchettare nervosamente col tallone del piede destro, rimuginando su quanto la ragazza mi aveva appena confessato e pronta a trovare il momento opportuno per informare anche Adam.
    L'atleta però sembrava faticare ancor più di me a contenere l'agitazione, infatti si alzò di scatto dal divano, attirando l'attenzione di tutti i presenti. Se ne uscì al quel punto con una proposta assurda e a dirla tutta, assai strampalata: dormire? Alle cinque del pomeriggio e con la tempesta perfetta scatenata sulla casa?
    Tossicchiai come a volermi schiarire la voce, ma non mi uscì alcuna parola per dargli una risposta, lo guardai semplicemente con le labbra tirate dalla preoccupazione in una linea aspra e netta a spaccarmi il volto.
    Iniziavo ad avere paura...
    Strinsi Meg a me, posandole un rapido bacio sulla guancia, proprio mentre Adam le carezzava la testa riccioluta. Se fino a quel momento era riuscita a stare tranquilla, quella manifestazione di affetto contemporanea, ebbe il potere di allarmarla ancor di più. Mi guardò con gli occhioni spalancati, afferrandomi la mano che tenevo posata sulle sue ginocchia, senza però riuscire a dir nulla, segno che fosse davvero preoccupata.
    Accolsi il bacio sulla fronte datomi dal ragazzo, rabbrividendo vistosamente. Un leggero tremore e un sospiro, accolsero infatti la domanda sussurrata dell'atleta.
    Dovevamo andarcene?
    Di sicuro... stavamo tra l'altro aspettando il momento giusto per rimetterci in viaggio, ma qualcosa mi diceva che non fosse quello.
    « Dovremmo, ma come facciamo... » gli risposi, volutamente vaga affinché capisse il messaggio sottinteso nelle mie parole, senza destar sospetti nei presenti.
    Era ovviamente ancora nelle mie intenzioni accompagnarlo alla ricerca di sua figlia, ma temevo che quello non fosse nel modo più assoluto, il momento migliore per metterci in cammino.
    Non dipendeva dalla tempesta, che avrei comunque volentieri risparmiato a Megan, ma dal fatto che c'era la possibilità che la famiglia, che ci aveva accolti e rifocillati quando eravamo a un passo dalla fine, avrebbe potuto avere bisogno del nostro aiuto, per arginare i danni inferti da quel cataclisma meteorologico.
    Non potevamo lavarcene le mani, sarebbe stato opportuno farlo, ma avevamo anche degli amici tra quelle mura... E quei bambini? Come potevamo lasciare che fossero affidati unicamente alle "mani del Signore"?
    Nathalie lasciò la zia e il tappeto per raggiungere sua madre al nostro fianco. Allungai la mano a prendere quella di Adam e lo guardai dal basso in alto, con aria supplichevole e al contempo affranta.
    Ancora un giorno, due al massimo, poi avremmo lasciato le rive del lago Winnebago e gli Shepard. Per quanto consapevole che la mia presenza e qualsiasi mio tentativo di aiutarli, fossero pressoché inutili, non sopportavo l'idea di abbandonarli ai loro guai senza tentare di far qualcosa... eravamo in debito con quelle persone.

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    ↘ Siamo creature che non dovrebbero esistere secondo la legge della natura.

    Conoscevo quell’espressione sul viso di Aileen, un misto di supplica e paura. Combattuta tra il poter scappare e mettersi in salvo insieme alla sua piccola Megan ed al sottoscritto, oppure restare, per dare una mano alle persone che ci avevano ospitato senza chiedere nulla in cambio. Certo, gli Shepards avevano dei modi e delle usanze un po’ eccessive ai nostri occhi, avevano un concetto di “salvare il prossimo” che non sembrava proprio il massimo, specialmente se si traduceva nel preservare dentro ad un capanno qualsiasi vagante riuscivano a catturare. Ma erano pur sempre brave persone, e quei bambini non meritavano di incappare nel rischio di venire travolti nel vortice di una tempesta, non solo metaforica. Ero combattuto anche io. Pensavo a mia figlia ogni istante, e quando capitavano situazioni di pericolo come questa, il pensiero si acuiva, ed era come se pulsasse, invadente, nella mia testa. E poi c’erano loro, Megan ed Aileen, che stavano diventando, anzi già lo erano, altrettanto importanti, e avrei fatto qualsiasi cosa per scansarle da ogni rischio, anche il più banale.

    Strinsi la mano di Aileen, accennando un sorriso teso a labbra chiuse. Quella donna cominciava a rendermi vulnerabile sulle mie decisioni, e cominciava a capitare spesso che accantonavo le mie idee per dar retta alle sue. Accennai un sì con la testa, e piano le lasciai la mano. Sentivo gli occhi della piccola Megan addosso, che mi guardavano dal basso verso l’alto. A lei donai un sorriso più ampio, arruffandole i capelli con la mano «Elizabeth, vado a vedere se hanno bisogno di una mano...» dissi cauto verso la donna, che stringeva in gola un nodo di apprensione. La capo branco si girò a guardarmi con due occhi lucidi che sprigionavano un sincero ringraziamento, e questa faccia fu sufficiente a farmi credere che il mio aiuto poteva davvero contare qualcosa. Non ci fu bisogno di risposta da parte sua «Okkey» dissi piano, accennando a muovermi in direzione della porta di ingresso, dove appesa ad un attaccapanni c’era una mantellina da pioggia per adulti, che apparteneva probabilmente a Samuel o a qualche altro figlio. La pioggia là fuori era talmente brutale che quel riparo non era poi così necessario, dato che mi sarei inzuppato comunque, ma la vestii ugualmente. A differenza degli uomini che erano appena usciti, non imbracciai nessun fucile, ma presi dal portaombrelli all’ingresso la mia fedele mazza da baseball, che avevo riposto lì in “segno di pace”. Sapevo maneggiarla meglio di uno stupido fucile. Ora che sembravo un bravo boy scout pronto ad esplorare il mondo in cerca di legnetti per accendere il fuoco davanti alla mia tenda, guardai Aileen, in cerca di un qualche sguardo di intesa o di incoraggiamento, non sapevo dire «Magari potresti farmi trovare qualcosa di caldo quando torno?» le dissi, cercando con una goffa ironia di stemperare la tensione. E no, non c'era nulla di malizioso, per una volta tanto, in quelle parole. Feci appena in tempo a finire di parlare, che da fuori sentimmo distinto il rumore di uno sparo. E poi un altro. Poi un altro ancora. Forse anche delle urla, ma quelle erano più difficile da distinguere data l'incessante pioggia che batteva contro i vetri delle finestre della casa. Ci impietrimmo tutti quanti, restando fermi nelle nostre posizioni a guardarci in faccia. Le nostre teste dovevano elaborare in fretta il perché di quei suoni, dovevamo capire chi, e perchè. Cosa poteva essere successo là fuori? E parve che la spiegazioni fu lampante per tutti, all’unisono. Elizabeth sussultò, Adam strinse sua moglie, i bambini urlarono per la paura. I ragazzi più giovani avevano le facce terrorizzate. Vidi Megan nascondere la faccia fra le braccia di Aileen. A quel punto, senza troppo pensarci, non mi restò che imboccare di corsa la porta d’ingresso, per uscire nel grande giardino...

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    ↘ In the middle of difficulty opportunities arise.


    Restai quasi senza respiro nel comprendere le conclusioni a cui era giunto Adam, dopo aver ascoltato le mie parole. Ero stata io, proprio io, a suggerirgli di restare e di aiutare quella famiglia, ma mi ero pentita di aver anche solo aperto bocca, nel momento in cui il ragazzo aveva deciso di darmi retta.
    Perché l'avevo spronato ad affrontare guai non nostri? Perché avevo deliberatamente lasciato che mettesse a repentaglio la sua incolumità, presa da un moto di riconoscenza, sentimento ormai così estraneo in quel mondo post-apocalittico.
    Riuscivo a combinare casini irreparabili persino restando immobile...
    Una cascata di lava sembrò scendermi lungo la nuca, mentre la mano dell'atleta perdeva lentamente contatto con la mia, per spostarsi sulla testolina riccioluta di Megan.
    Non riuscii a staccare gli occhi dalla figura dell'uomo, nemmeno quando lui mi aveva dato le spalle, nel dirigersi verso l'ingresso.
    Immobile, con gli occhi spalancati e lucidi, le labbra schiuse in un sordo sussurro che avrebbe voluto diventare un urlo. La gola stretta in una morsa strozzante e le orecchie piene di fischi pungenti. Un tonfo ovattato all'interno del petto - quasi quello fosse l'ultimo dei battiti del mio cuore a tenermi in vita - non mi diede nemmeno preoccupazione: avrei meritato di morire lì in quell'istante, per aver commesso l'ennesimo errore sulla lunghissima scia di sciocchezze che era la mia vita.
    « Adam... » mugolai, mentre una lacrima mi bagnava l'angolo dell'occhio e l'ansia prendeva inevitabilmente il sopravvento su di me.
    « Sì... » risposi alla sua richiesta, senza nemmeno prendere davvero in considerazione l'idea di raggiungere la cucina, per eseguire il compito che mi aveva dato.
    Era uno stupido... perché continuava a darmi ascolto. Perché non mi aveva abbandonata quando ci eravamo conosciuti...
    Quanti guai aveva passato a causa mia? quanti ancora sarei riuscita a causarne?
    La testa di Megan che si appoggiava delicatamente al mio petto, mi ricordò che se non fosse stato per la gentilezza di quell'uomo d'oro, la mia piccola girl scout a quell'ora non sarebbe stata con noi. Non l'avrei mai ritrovata da sola, e Dio solo sapeva cosa questo avrebbe voluto dire per lei, nei tempi a venire.
    Quell'istante venne interrotto dal fragore di uno sparo, al quale ne seguirono altri due a breve distanza.
    Smisi di respirare, sentendo gli occhi di Faith su di me, mentre posava la mano sul mio ginocchio.
    No, no, no, no, no, no, no...
    Il destino non poteva essere così infame!
    Le immagini della catastrofe accennatami dalla ragazza al mio fianco, si fecero largo nella mia testa, mentre il mio uomo si affrettava a lasciare l'abitazione per buttarsi nella tempesta e affrontare chissà quali guai.
    Lo vidi circondato da quelle creature immonde, mentre il cielo si tingeva di rosso sangue e la terra eruttava zolfo e zampilli incandescenti, come un personaggio di una graphic novel, che sfidava quell'inferno di fuoco, armato di... legno. Un controsenso, un'assurdità... ma era proprio quel dettaglio a fare di lui l'eroe per antonomasia, il Davide contro Golia.
    Anche per questo sapevo di amarlo, perché Adam - fuoco e zolfo a parte - era il mio eroe senza macchia e senza paura, e io... non potevo perderlo...
    Megan singhiozzò tra le mie braccia, facendo svanire quello scenario che mi si era formato davanti agli occhi, mentre fissavo la porta oltre la quale il mio uomo era appena sparito. La strinsi appena, poi la feci scivolare dalle mie gambe prendendole la mano, mentre mi mettevo in piedi. Non sarei riuscita a restarmene lì seduta un solo istante in più.
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    Raggiunsi Elizabeth alla finestra e come lei cercai di scorgere qualcosa all'esterno, ma tutto ciò che mi riuscì di vedere, non fu altro che la pioggia che batteva sui vetri e il riflesso del visetto spaventato della mia bambina.
    « Non gli succederà nulla, vero? » sussurrò, con voce quasi soffocata, stringendo le piccole dita attorno alle mie.
    Cosa potevo dirle... come potevo rassicurarla, quando io stessa non avevo alcuna certezza? Come potevo aver fede nei riguardi di quel fato avverso, che ci accompagnava ormai da più di un anno e mezzo.
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    Faith e Nathalie ci raggiunsero dopo alcuni istanti, la bambina appoggiò le mani sulle spalle di Meg, richiamando la sua attenzione, e le sorrise quando essa si voltò a guardarla.
    « Mary ci aiuta a fare il tè per i nostri papà... » le disse, indicandole Robert che a sua volta stava imbracciando un fucile, per poi lasciare la casa.
    Guardai l'uomo scambiare un'occhiata piena di paura con la moglie, e mi sentii gelare il sangue nelle vene. La sua non era paura dell'ignoto, sapeva benissimo a cosa stava andando incontro e, chiaramente, era pronto a tutto pur di tenere al sicuro le sue donne.
    Mi sentii morire dentro, ma riuscii a a fare un cenno di assenso a Megan, perché potesse seguire la sua amichetta nella cucina degli Shepard. Non amavo l'idea che si allontanasse da me, ma non volevo nemmeno che restasse a quella finestra a temere per le sorti del suo nuovo papà. Ne aveva già perso uno... se davvero esisteva quel Dio che quella famiglia tanto idolatrava, non poteva essere così cattivo nei confronti di quella bambina.
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    « Se le cose dovessero mettersi male, ci sono delle spranghe di ferro nel guardaroba... » disse Faith, in un sussurro appena percettibile, raggiungendomi alla finestra, mentre sua madre si allontanava da noi per cambiare postazione di vedetta.
    Annuii deglutendo, pur non riuscendo a pensare nulla di sensato in risposta a quella "spifferata". Cosa voleva fare? Voleva scappare insieme a me e alle bambine? O tentare di aiutare gli uomini all'esterno, rischiando così di lasciare la piccola Nathalie, orfana di entrambi i genitori...
    E io, cosa volevo fare? Sapevo di non poter abbandonare Megan, le avevo promesso di non lasciarla mai più, ma come potevo restarmene lì con le mani in mano, mentre l'uomo che amavo probabilmente stava rischiando la vita per colpa mia?

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    La catastrofe ipotizzata da Faith, diventa realtà in un soffio... una raffica di vento impetuosa, che scuote il capanno, già in parte distrutto a causa della caduta dell'albero, colpito dallo stesso fulmine che aveva fatto tremare l'atmosfera poco prima.
    La corteccia spaccata, consente al fuoco di attecchire sul legno nodoso, fumando e scintillando nella cupa serata, mentre l'edificio di travi si apre sui lati, rivelando l'intelaiatura ormai instabile.
    I non morti al suo interno iniziano lentamente a farsi strada tra le assi spezzate, alcuni restandovi incastrati, altri perdendo brandelli di carne, ma tutti inesorabili e bramosi di lanciarsi su Samuel e i suoi figli.
    Adam giunge in tempo per convincere gli Shepards che sia impossibile tentare di contenerli nuovamente, ma che sia necessario, piuttosto, porre fine alle loro perverse esistenze.
    La battaglia ha così inizio e vede impegnate tutte le risorse possibili. Persino Aileen e Faith vi prendono parte, combattendo schiena a schiena, ai margini dell'ingresso, evitando così che i ritornati sfuggiti alle prime linee, si abbattano sulla casa, spaventando i bambini.
    Lo scontro va avanti fino a notte fonda, finché anche l'ultimo vagante perisce e il maestoso salice smette di ardere, grazie alla complicità della pioggia.
    La famiglia però non può permettersi di stare tranquilla. Il coraggioso e valido Joseph, è stato infatti morso ad una mano e necessita al più presto di cure mediche. Aileen spiega loro che i soldati le avevano insegnato che, prese per tempo le dovute precauzioni - che consistono nel taglio dell'eventuale arto ferito -, si possa sopravvivere. La decisione è ardua e nessuno dei presenti sembra avere il fegato di occuparsene, così Adam, forte della sua "mano ferma", agisce d'istinto, sbalordendo tutti. L'atleta infatti, terminato di ripulire il machete col quale si è difeso nel giardino, si lancia inaspettatamente sul ragazzo, già in posizione in attesa che qualcuno dei suoi fratelli gli amputi il braccio, e con un solo pesante affondo, gli stacca di netto la mano, tagliando all'altezza del polso.
    I bambini sono stati mandati in camera, per evitare loro di assistere a tale scena, ma buona parte degli adulti vorrebbe aver fatto altrettanto. Adam si allontana tenendosi la mano sulla bocca, mentre suo fratello Jacob diventa pallido come un cencio, costringendo la moglie a occuparsi di tranquillizzarlo.
    Elizabeth e Aileen di prendono cura di Joseph, che, completamente sotto shock, non proferisce alcun suono, dopo l'iniziale e unico grido, causato dall'immane dolore.
    Il moncherino viene disinfettato e cauterizzato, con la cura che solo una madre adorante può dare al proprio figliolo. La tatuatrice invece, si prodiga per assicurare che tutto sia a massima norma d'igiene, in modo da evitare infezioni.
    La notte avvolge il lago con la sua oscurità, sembra essere più lunga del solito, ma nulla può contro il reale trascorrere del tempo. La tempesta cala d'intensità e le nuvole si diradano, consentendo al sole d'infiltrarsi con i suoi caldi raggi, sul villino degli Shepards, che sospirano di sollievo, guardando al domani con rinnovata speranza: hanno trovato dei validi amici in Adam e Aileen, e la vita di Joseph, nonché quella di tutti quanti, è salva anche grazie al loro aiuto.

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