Klamath Falls SZ • do or die

Nadežda + Amanda

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    do or die

    HmAurYE

    role by:

    - Amanda - aquamärine
    - Nadežda - Rebecca Chambers



    DOVE: location allenamenti, bosco QUANDO: 17:15 - CLIMA: caldo - TEMPERATURA: 22°

    Gli allenamenti con Nadežda sono sempre stati una buona valvola di sfogo per la reclutatrice estranea. Fino ad ora, per la loro natura riservata, non hanno parlato molto di quanto accaduto - il tradimento di Kyle, la relazione con Mandy - e se l'hanno fatto non sono mai scese troppo nei dettagli. La russa sa ma non insiste, Mandy vorrebbe parlarle liberamente ma si trattiene: non vuole sentirsi giudicata da quella che considera più un'amica di Ashleen che sua.

    Un pomeriggio in apparenza come tutti gli altri, giorni dopo la scoperta della gravidanza di Lee e la sfuriata in infermeria, Amanda raggiunge in anticipo il luogo dove segue gli allenamenti con la russa Young. È visibilmente dimagrita dall'ultimo incontro e fisicamente provata. Il temperamento e l'aggressività sembrano invece peggiorati.

    All'ora concordata, Nadežda si presenta all'appuntamento: è preparata al solito ritardo della fotografa, che punirà con una dura serie di esercizi. La trova invece impegnata ad allenarsi col coltello contro un albero.

     
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    ↘ Alla fine, se non fai attenzione, quello che desideri può distruggerti.

    Colpivo l'albero immaginandomi fosse Kyle: con forza e rabbia, continuamente, strappando la corteccia e infilando la lama nel legno in profondità. Erano giorni che non mangiavo né riposavo granché; in tutta onestà, non avevo idea da dove venisse fuori tutta quella forza fisica, quell'aggressività... Sentivo solo il bisogno di colpire più forte, di mettere a tacere ricordi e cervello, di fare qualunque cosa pur di non pensare. Alcune schegge mi erano finite tra le dita ma non me n'era importato niente: nessun dolore avrebbe potuto comparare quello che provavo in mezzo al petto; nessun crampo sarebbe stato mai abbastanza fastidioso da farmi dimenticare il cuore che andava in pezzi, né lo sguardo che mi aveva rivolto quando ci eravamo trovati a pochi metri di distanza. Attesa, ecco cosa mi aveva trasmesso: mi aveva invitata caldamente, solo guardandomi, ad avvicinarmi e parlare e dopo un accenno iniziale alla fine non ce l'avevo fatta. Mi ero tirata indietro sul punto di farlo, perché ero orgogliosa e perché... non c'era un perché: semplicemente era andata così. Forse era vero che non sapessi amare.
    Mai avevo tentato di spiegarmi perché fosse finita con qualcuno... In effetti, non ero mai arrivata al punto di far chiudere gli altri, ero sempre stata io quella che prendeva decisioni per tutti e chiudeva le porte senza perdersi in congetture. Niente rimorsi, niente rimpianti: guardare avanti e andare, fare per non morire, sempre. Doveva essere stato facile in passato perché non avevo mai considerato nessuno all'altezza dei sogni che avessi. Bella merda averlo fatto, Mandy. Ottima scelta davvero, brava.
    Non riuscivo ad accettare che fra noi due fosse andata così male alla fine, che mi avesse cacciata dall'infermeria, liquidandomi come la peggiore delle pazze schizofreniche, che mi avesse accusata di avergli remato contro e di non averci nemmeno mai provato a capirlo. Io che l'amavo come mai nessuno prima, che per lui avevo buttato giù il muro di ghiaccio intorno al cuore, mi ero ritrovata inerme a subire il colpo più pesante di tutti: la sua perdita. Lui aveva messo incinta un'altra ed io ero stata la stronza che non ci aveva creduto abbastanza. Se c'era una cosa che odiavo più del mio amore, in quel momento, era la consapevolezza allucinante di averne bisogno.
    No, non dell'amore: di quello stronzo.

    « Cazzo » Colpivo ancora, dimentica che la mia allenatrice mi avrebbe raggiunta a momenti. Avevo proprio perso la cognizione del tempo... M'ero immaginata che l'unico modo che avessi per riuscire a dormire un po' fosse quello di superare ogni limite fisico: gli allenamenti con Nade erano già abbastanza duri, non esistevano pause e mi spingeva sempre a fare di più, sovraccaricandomi. Mi era sempre andata benissimo così. Quel giorno però volevo distruggermi fisicamente, crollare a terra e spegnere il cervello per riposare e ricominciare.
    Per gli abitanti di Klamath ero già una pazza schizzata, che picchiava tutti senza ragione... Mi era bastato un solo allenamento in palestra per sentirmi la schiena continuamente scossa da brividi; avevo capito che i posti troppo frequentati non facessero più per me. Niente di trascendentale o di nuovo su quel fronte: male non sarebbe stato, evitare i luoghi comuni per disintossicarmi un po'.

    Diedi un colpo più forte degli altri, la lama rimase infilzata nel tronco e i muscoli erano già stanchi che non riuscivo a tirarlo fuori. Col fiatone, mi appoggiai con la fronte all'albero per riprendere fiato. Non volevo fermarmi, non potevo. Strinsi le dita quasi atrofizzate intorno alla lama di legno, intarsiata con tanti piccoli abeti che avevo inciso col fuoco io stessa, riuscii a tirarla fuori e a ricominciare a colpire. Non mi fermai più, nemmeno quando Nade mi arrivò di fianco.

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    Edited by aquamärine - 10/1/2019, 19:41
     
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    ↘ These people are my family and if you hurt them in any way, I will kill you.



    La curiosità non era nella mia natura, pertanto le lezioni con Amanda erano proseguite senza particolari modifiche: io non domandavo nulla, detestando per prima chiunque curiosasse nella vita private delle persone, e lei non condivideva nulla, creando una sorta di strana situazione in cui il peso di quanto accaduto gravava su entrambe pur restando invisibile.
    Dubitavo che la ragazza ignorasse il fatto che fossi a conoscenza di quanto accaduto tra lei, Kyle e Ashleen - l'intera comunità conosceva gli eventi e io, nello specifico, ero sposata con colui che aveva "scatenato" quella situazione - ma avrei rispettato il suo silenzio. Personalmente, in ogni caso, il mio interesse a riguardo era assolutamente marginale, non sfiorando minimamente la mia famiglia.
    Logan era molto affezionato ad Amanda, provocando spesso il mio malumore, ma avevo sostanzialmente inteso quale rapporto esistesse tra loro e, pur con occasionali (e feroci) fiammate di gelosia, ero abbastanza tollerante; la mia posizione nei suoi confronti era mutata rispetto al passato a causa della rivelazione delle bugie di Ashleen e, anche per il disprezzo che provavo verso Kyle, ero piuttosto solidale verso l'amica di mio marito ma... ma nulla oltre a quello.
    Non ero incline a provare interesse oppure empatia nei confronti delle persone estranee alla mia famiglia, quindi non avrei detto né fatto nulla se lei non avesse deciso di condividere i suoi pensieri. Non avevo neppure speso tempo a pensare a quali potessero essere le sue sensazioni e i suoi sentimenti, perché non avrebbe avuto alcun senso.
    Semplice. Normale.

    Dopo quella spiacevole sequenza di eventi, comunque, Amanda aveva chiesto di aumentare durata e regolarità dell'allenamento, richiesta che avevo tranquillamente accolto; neppure a me sfuggiva la motivazione reale di quell'atteggiamento - allontanare i pensieri negativi - ma, nuovamente, non avevo alcuna intenzione di interferire nella sua vita e nelle sue riflessioni.
    Se avesse cercato il mio aiuto, come Ashleen (mentendo) aveva chiesto, l'avrei aiutata, perché nei suoi confronti nutrivo ancora una minima fiducia. Non le avrei negato il mio supporto ma, se mi avesse tradita come la scheletrica bugiarda, avrebbe subito le conseguenze: io non concedevo una seconda opportunità e non perdonavo i torti subiti.
    Se desideri uccidere un uomo con un coltello, devi mirare al fegato, al petto oppure al collo considerai con voce atona, ignorando volontariamente la scena a cui avevo assistito, mostrandole in quel modo una certa delicatezza (per le mie abitudini) E cerca di colpire da una distanza minore, sarà meno semplice respingere il colpo aggiunsi, correggendo la posizione della coda di cavallo in cui avevo avvolto i miei capelli.
    La osservai in silenzio, immobile al suo fianco, limitandomi a indicare con un dito le parti del corpo dove avrebbe dovuto colpire per uccidere... perfettamente consapevole di chi stesse metaforicamente colpendo, accanendosi su quel povero e inerme albero.


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    Nadežda era arrivata ed io, nonostante l'avessi sentita, non avevo smesso di infliggere colpi serrati al tronco dell'albero. L'avevo martoriato, semidistrutto la corteccia strappando via pezzi su pezzi di legno bianchissimo e profumato... eppure continuava a non sembrarmi abbastanza. Nessun colpo era stato decisivo, uno di quelli con cui credevo mi sarei liberata di tutto il dolore. Puntavo a quello: distruggermi fisicamente per estirpare tutto il male che mi stava mandando il cuore in putrefazione. Avevo i capelli spettinati davanti agli occhi, appiccicati al viso per il sudore che m'imperlava la fronte e le spalle. Il cervello non voleva saperne di mettersi a tacere: mi tormentava con pensieri, "se" e "ma" di cui non me ne sarei più fatta niente, ricordi, rewind.
    Non sarei mai voluta arrivare a quel punto. Per tutta la vita non avevo fatto altro che scappare e difendermi, non dalle persone - erano state il mio pane quotidiano - ma dai sentimenti. Non avevo mai voluto amare nessuno - e di uomini ne avevo avuti, anche validi - il perché poteva sembrare anche ridicolo, infatti non l'avevo mai detto perché quando le cose cominciavano a farsi serie decidessi di sparire... Mi aveva sempre fatto comodo l'idea che si facevano gli altri, mi era andata bene anche quando prendevano dei fottuti granchi e non avevo mai mosso un dito per ripristinare la mia immagine: era già abbastanza strano ammettere di non amare per paura di soffrire, di perdere un giorno quel qualcuno che avrei irrimediabilmente reso il centro del mio universo, un qualcuno per il quale avrei deposto la carica di regina del MandyMondo perché lo governassimo insieme. Una prima donna come me veniva sempre prima di tutto e tutti: c'era la carriera a cui pensare, le feste, i rapporti sociali. L'amore era un di più di cui non sentivo il bisogno. Perché complicarsi la vita rendendo il pensiero di un'altra persona condizionante? Per quale fottuta ragione dovevo dare potere alle parole di un uomo di condizionarmi l'umore, le giornate, semplicemente la vita? Io ero Amanda McCutcheon, non avevo bisogno di nessuno per essere felice. Stavo meglio da sola, libera. L'orgoglio aveva fatto da padrone, era stato il consigliere prediletto in ogni mia decisione e non me n'era importato se alla fine tutti quelli con cui avessi condiviso un pezzetto di vita avessero finito con l'odiarmi. Avevo scelto di essere uno squalo, ero stata uno squalo e non avevo mai chiesto scusa per quello. In più, mi ero convinta che se avessi saputo fare a meno di tutto non avrei potuto avere paura di niente.
    Nessun sentimento negativo avrebbe potuto attecchire su di me, ai miei occhi la cosa mi faceva sentire invincibile e inattaccabile.
    Dopo quanto successo con Kyle mi ero convinta di avere avuto ragione in passato e di aver commesso un errore grandissimo nel lasciare quella vecchia strada.

    La russa mi diede dei consigli: mi girò intorno a malapena, studiò la mia posizione - sbagliata - e la natura degli affondi. Rallentai solo per poterle dire che ok, avevo capito le sue correzioni e le avrei messe in pratica. La guardai dritto negli occhi ma senza una reale attenzione: annuii e ricominciai.
    Mi sembrava così fiera, Nadežda. Sempre in linea col suo pensiero, mai un cedimento o una dimostrazione di debolezza e fragilità. Non era certo una cosa che le potessi invidiare, anche perché era frutto di una vita di privazioni e solitudine, ma in quel momento e per un istante lunghissimo desiderai ardentemente essere più come lei che come me.
    Colpii un altro paio di volte, avvicinandomi con dei piccoli saltelli all'albero che nel mio immaginario aveva le fattezze del soldato che amavo. Una montagna, altissima in confronto a me, tra le cui braccia avrei dovuto trovare rifugio e non rovina.
    « È vietato dire... non ce la faccio » la regola numero uno: non esisteva non ce la faccio nel suo vocabolario e l'avevo capito a mie spese. Insieme alle perle di sudore, me ne sfuggirono altre, sempre salate, dagli occhi. Non volevo piangere, non per Kyle Walker, non più. La lama andò di nuovo troppo a fondo, s'incastrò nel legno e i crampi alle dita - strette in modo esagerato intorno all'impugnatura - m'impedirono di tirarlo fuori e ricominciare. Appoggiai quindi il palmo aperto contro l'albero, ruvido e scheggiato, l'altra rimase sopra l'impugnatura, immobile per contenere il crampo. Presi fiato, ad occhi chiusi, per pochissimi secondi. « Sono uno squalo, ho scelto di essere uno squalo e non devo chiedere scusa » Allora perché non ce la faccio? A lasciarmi questa cosa alle spalle?! Io l'ho sempre fatto, è sempre andata così. Sono sempre venuta prima io... completai la frase fra me e me, umettandomi le labbra e spostandomi alla fine i capelli sudatissimi dalla fronte. Alzai gli occhi su Nade, ne approfittai per riprendere fiato. Mi sfuggì un velo di riconoscenza nel modo in cui la guardavo: sapevo di poter contare sull'amicizia di Logan, che aveva dovuto subire con me le conseguenze dell'ira - lui metteva incinta un'altra e si permetteva il lusso di essere arrabbiato con noi?! - di quello stronzo, ma Nade... Avevo puntato sul suo disinteresse, sul suo cogliere la palla al balzo per liberarsi di una presenza sgradita come la mia.
    « Credevo non saresti più venuta »

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    Nella rabbia con cui Amanda colpiva e distruggeva quell'albero, vidi una notevole parte di me stessa: la medesima ira cieca che avevo provato nei confronti di mio padre, la stessa furia distruttiva con cui mi ero accanita contro oggetti privi di anima, simboli della persona che desideravo distruggere.
    La differenza, sostanziale e fondamentale, era nel fatto che io odiassi mio padre mentre i sentimenti di Amanda verso Kyle erano, quasi sicuramente, totalmente opposti... la rabbia che provava verso il soldato era causata dall'affetto che in realtà la legava a lui, non dall'odio puro. Probabilmente lo avrebbe colpito con violenza ma soltanto perché i suoi sentimenti amorevoli erano stati infranti dall'idiozia del suo amato.
    Potevo intuire e anche comprendere le sue emozioni, perché dubitavo avrei reagito differentemente se fossi stata nella medesima situazione; Logan talvolta mi irritava e discutevamo, anche animatamente, ma almeno non aveva mai distribuito figli come se fosse un ape alla ricerca di un fiore. Ashleen aveva mentito, era vero, ma il medico era stato un assoluto idiota e non aveva alcuna giustificazione.
    Forse aveva pensato di potere avere una compagna differente ogni settimana, sostituendo Ashleen con Amanda e Amanda con Ashleen in base al proprio umore... non avevo interrotto definitivamente i rapporti con lui soltanto perché Logan gli era affezionato e perché era stato fondamentale per la nascita di JJ ma, per quanto mi riguardava, era un uomo disgustoso.
    E non potevo negare di essere stata ferita per quella delusione, perché avevo fiducia in lui, proprio come avevo avuto fiducia in Ashleen.

    Non intervenni ulteriormente nel suo "allenamento", sebbene gli errori fossero numerosi e i miei consigli scarsamente seguiti: semplicemente la sua mente non era nelle condizioni adeguate per ottenere risultati dall'addestramento. In parte sarei potuta essere infastidita da quell'atteggiamento - ero un'insegnante dura e poco tollerante - ma sinceramente non ebbi il cuore di infliggerle un'altra ferita, per quanto metaforica.
    Incrociai le braccia sul petto, osservandola a metà tra l'insoddisfazione per i suoi errori e un briciolo di dispiacere per la sua sofferenza, che trovavo piuttosto dolorosa, specialmente perché ne comprendevo i motivi; inizialmente avevo considerato Amanda colpevole delle sofferenze di Ashleen e in parte ancora non approvavo il fatto che avesse frequentato Kyle mentre era insieme alla ragazza ma, ormai, la situazione era decisamente mutata.
    Kyle aveva mostrato un lato di sè stesso che non avrei mai pensato potesse avere e Ashleen si era rivelata una bugiarda priva di dignità, lasciando Amanda nella spiacevole condizione di principale vittima dei tradimenti altrui... ovviamente aveva avuto le proprie colpe ma, infine, aveva subito le conseguenze peggiori.
    Non invidiavo Amanda, neppure minimamente.

    Perché non avrei dovuto? domandai ironica, allontanandola con una certa delicatezza dall'albero e provvedendo a rimuovere la sua arma dalla corteccia Pensi forse che mi importi minimamente del pensiero delle persone di Klamath? commentai con voce priva di intonazione.
    Lo sguardo e le parole utilizzate da Amanda non erano sfuggite alla mia attenzione, lasciandomi chiaramente intendere - quasi fosse necessario - che avesse un disperato bisogno di qualcuno con cui sfogarsi; Kyle l'aveva tradita e l'intera comunità si era rivoltata contro di lei, allontanandola ed escludendola, risultato prevedibile del suo atteggiamento piuttosto egocentrico e ostile.
    Amanda non era una ragazza gentile e amichevole, aveva un pessimo carattere e non ispirava particolare simpatia... era molto simile a me, volendo essere sincera.
    Il loro giudizio e la loro opinione, per me, valgono quanto quelli di uno scarafaggio aggiunsi, estraendo l'arma dall'albero, osservando le incisioni su di essa con vago interesse Dubito che avranno il coraggio di condividere con me il loro disappunto per le mie... frequentazioni... credo pensino che io sia un'agente segreta russa ironizzai, giocando con il coltello di legno tra le mani.
    Per quanto riguarda Logan, se avessi avuto il minimo, reale dubbio che tu stessi cercando di allontanarlo da me, ti avrei spezzato il collo spiegai, inclinando le labbra in modo tutt'altro che amichevole Io non dimentico i torti subiti ma neppure l'aiuto ricevuto. Julija è riuscita a nascere anche per merito tuo conclusi, porgendole il coltello, con un minuscolo sorriso.


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    Mi presi una breve pausa per riprendere fiato e, soprattutto, trovare un modo poco plateale per calmare il crampo alla mano. Era quello che stavo cercando, no? Il dolore, qualcosa di forte che mi distraesse dal caos di cuore e cervello... Una volta ottenuto invece non volevo che liberarmene, il più in fretta possibile anche. C'era forse qualcosa di sbagliato in me? Prima cercavo la sofferenza e poi, quando l'avevo ottenuta, desideravo solo tornare a stare bene. Semplicemente in pace. Incoerente? Volubile? Cosa diavolo ero io, ma soprattutto perché me lo stavo domandando?

    Mi spostai di un paio di passi indietro e la lasciai tirare fuori il coltello dal tronco. Era un gesto così semplice e banale, visto fare a lei... Un po' come quando guardavo ballare un'étoile e durante le prese sceniche dicevo "Che ci vorrà a prenderla in braccio e farla girare come una piuma"...
    Mi misi una mano sul fianco per dissimulare il dolore all'altra, nascosta e abbastanza contratta, e la ascoltavo con gli occhi ridotti a due fessure per la luce forte. Nadežda non era una donna particolarmente criptica: ti lasciava capire cosa provasse per te e non le creava problemi avere più inimicizie che rapporti positivi. Con lei le cose non erano iniziate nel modo giusto, in California; ero forse una delle poche che non la temeva per le sue straordinarie capacità di combattente o per il brutto carattere... forse proprio perché ne avevo uno di merda anche io.
    « Ce ne hai messo di tempo eh » spavalda come al solito ma spenta ad un occhio attento, allungai la mano sana per recuperare il coltello dal manico. Mi resi conto quasi subito di essere stata fin troppo pungente, e me ne pentii addirittura... Nadežda non meritava una risposta di quel tipo, non dopo la sua velata predisposizione benevola nei confronti miei e del mio stato d'animo così evidentemente devastato. Non aveva pietà per nessuno eppure ne stava mostrando per me.
    « Scusa » io, che domandavo scusa a lei? Lo squalo che chiede scusa? « È stato inopportuno » allora mi morsi la guancia dall'interno, guardandola e muovendomi sui piedi per cercare di non pensare al dolore alla mano. Più passava il tempo più diventava forte e insopportabile, al punto che fui costretta a mettere in fretta il coltello nella fondina al fianco per cominciare a praticare un massaggio al centro del palmo. Tentai di distribuire il tutto anche verso le dita, non nascondendo una smorfia di dolore autentico nei punti in cui i nervi si erano accavallati. « Ho già abbastanza problemi con un soldato, comunque. Non ne cerco altri: scoop del secolo » commentai, tenendo lo sguardo sulla mano. Era così inquietante vedere i nervi sul dorso della mano così contratti, in netta evidenza rispetto al solito; solo guardarli mi stava facendo venire il mal di stomaco. « Ho visto come mi guardavi, non ne ho fatta una giusta »

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    L'allenamento, affrontato in quel modo - con la mente altrove e l'attenzione verso gli esercizi quasi inesistente -, era assolutamente inutile; non avrebbe svolto nulla nel modo corretto e non avrebbe ottenuto alcun risultato apprezzabile, escludendo soltanto lo sfogo della propria rabbia. In un modo era anch'esso un risultato utile ma non avrei speso il mio tempo ad allenarla per quello scopo, per quanto potessi essere solidale nei suoi confronti.
    Avrei potuto consigliarle altri modo per sfogare le proprie emozioni, solitaria, senza fallire inutilmente i nostri esercizi; avrei perfino potuto mia attenzione, se avesse desiderato: ero pessima nella condivisione e nei dialoghi ma ero esperta nell'ascolto, specialmente perché non amavo parlare.
    Non avevo particolare necessità di osservarla per capire quanto fosse esausta, quanto stesse cercando di raggiungere il proprio limite per infine "crollare"... avevo vissuto la medesima situazione, sebbene per motivi molto differenti, e potevo intuire quali fossero le sue intenzioni. Oltre a questo, i nostri caratteri erano molto simili e quindi dubitavo che potesse reagire a quelle emozioni in modo imprevedibile.

    La osservai gelidamente quando rispose con comprensibile ma inutile acidità, registrando quella mancanza di rispetto e promettendo a me stessa che ne avrebbe subito le conseguenze, con un allenamento più duro rispetto alle abitudini; affermando di non dimenticare i torti subiti non mentivo, per quanto ovviamente non avrei considerato un affronto personale la sua risposta.
    Amanda doveva comprendere che ogni azione aveva una conseguenza e che non esistevano "giustificazioni"... lasciare che le proprie emozioni determinassero il proprio comportamento non era tollerabile, per quanto mi riguardava, specialmente durante un addestramento. Per acquisire capacità simili alle mie - oltre a una vita che non avrei consigliato ad alcuna persona - erano necessarie freddezza, volontà e resistenza, non sentimenti.
    Mi avvicinai a lei, ignorando volontariamente la breve battuta riguardo i suoi problemi, sicura che sarebbe stato più semplice per lei parlare senza che io intervenissi, prendendole delicatamente la mano e... premendo con forza su i suoi nervi, utilizzando il metodo che avevo subito nella mia adolescenza, quando il mio fisico era in difficoltà.
    Amanda doveva affrontare e superare i propri limiti, sia mentali sia fisici.
    Non pensavo che potessi ottenere qualche risultato, oggi dissi, ignorando i suoi gemiti di dolore e premendo a sufficienza per renderla innocua, pur con l'intenzione di aiutarla Devi chiarire i tuoi pensieri e le tue emozioni oppure qualsiasi allenamento sarà inutile.
    Lasciai quindi la sua mano, ritenendo che i nervi avessero ripreso il proprio corretto ordine, osservandola per qualche istante dall'alto verso il basso: Ashleen ha ingannato perfino me mentre Kyle... abbozzai, imponendo a me stessa di non condividere il mio pensiero verso il soldato Personalmente credo che soltanto tu possa prendere una decisione a riguardo, credo che lui abbia dimostrato di non avere una particolare capacità di giudizio conclusi, sperando che quella piccola scossa potesse aiutarla a sfogarsi.
    Per quanto fossi decisamente la persona meno adatta con cui confidarsi.


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    Solo io sapevo quanto avrei voluto fare lo stesso anche con lui. Chiedere scusa, dicevo. Quando me l'ero trovato davanti e mi aveva guardata inequivocabilmente in attesa, ero venuta meno: la parte di me che avrebbe voluto solo avvicinarsi lentamente, con gli occhi lucidi, chiedendogli prima scusa e poi di parlarne, era stata eclissata da quella codarda e impaurita dai rifiuti, scottata dalla perdita di un punto cardine. Cazzo... Un bambino scombussolava la vita, l'intera esistenza perdeva punti fermi per catalogarne di nuovi, tutti in virtù del piccolo. Non volevo essere una di quelle stronze dispotiche che si facevano odiare a prescindere dai figli di un compagno... Lo sarei stata di sicuro.
    Era così difficile da capire che la tolleranza ad essere "l'altra" aveva un limite anche per me?

    Pensavo che Nadežda avrebbe cominciato a colpirmi, avvertendomi di parare all'ultimo secondo, e invece pensò solo a prendermi la mano nella sua... per intervenire sul crampo. Un dolore allucinante che mi portò a spalancare la bocca senza emettere un suono o fiato, oltre che a nascondere il collo fra le spalle. Mentre mi torturava/cercava di rimettere le cose a posto, disse delle cose sulle quali valeva davvero la pena riflettere. Innanzitutto, finché non avessi fatto pace col cervello e messo a tacere i sentimenti, da quelle sessioni non avrei ricavato un ragno dal buco. Mi lamentai il meno possibile mentre i nervi scricchiolavano e le sue dita si destreggiavano in un massaggio sapiente; alla fine nel sentirlo nominare quasi mi venne meno il cuore e lanciai un gridolino, provando a tirare istintivamente via la mano.
    Non ero una di quelle che dipendeva dall'amore, che ne faceva un Sole intorno a cui far ruotare tutto quanto; ci tenevo alla mia indipendenza, ai miei spazi, alla mia persona. Inoltre ero convinta che, nonostante fosse l'astro più brillante dell'intero universo, qualsiasi Sole prima o poi si sarebbe spento e io non volevo alla fine uscirne più arida di quando ci fossi entrata. Nemmeno l'avrei difeso a spada tratta solo perché ne ero innamorata... Solo, mi feriva il modo in cui fosse andata a finire. Bugie e omissioni a parte, la sua ex era rimasta incinta e non per opera dello Spirito Santo: quel figlio sarebbe nato, lui sarebbe stato padre, forse uno di quelli bravi e presenti che avrei guardato e ammirato da lontano. Forse, per il bene di quello stesso bambino, alla fine una chance alla madre l'avrebbe data pur di dargli una parvenza di normalità, di famiglia. Mi ero fatta da parte in previsione di tutte quelle cose, vittima di un senso d'inadeguatezza che non si confaceva allo squalo che avevo sempre dichiarato di essere. La mia colpa più grande era stata quella di credere che la sinergia karmika avesse smesso di funzionare per me: dopo avere sfanculizzato tutte le volte in cui avrei potuto averlo accanto e non l'avevo cercato (e di occasioni ce n'erano state diverse) accettando di godermi una parentesi felice, mi era stato presentato il conto con un bel "ricordati che esisto" scritto a caratteri cubitali sopra.

    Finalmente distolsi lo sguardo dalla mano e lo posai nel suo. Era così convinta delle sue idee, della sua posizione: io ero solo così arrabbiata da non avere nemmeno la voglia di farmela, un'idea.
    « Nemmeno riesco ad avvicinarmici » confidai, abbassando lo sguardo e ripensandoci ancora una volta. In un certo senso, le stavo dicendo che la mia scelta l'avessi già presa. Il non essere andata fino in fondo, non era da definirsi una scelta? Strano come, ogni volta avessi qualcosa da dire, la mia interlocutrice preferita fosse proprio lei. Quando mi avevano picchiata, era stata l'unica a cui l'avessi detto. Mi presi la mano ferita nell'altra: andava molto meglio ma dovevo coccolarla un po'. Mi aprii poco dopo, come un piccolo fiume col letto in pendenza, che andava verso un corso più grande e infine una cascata.
    « Rivivo sempre la stessa scena. A volte cambiano dei piccoli dettagli ma la fine è sempre uguale: me ne vado. Non so come spiegarlo, forse nemmeno devo. È come se fossimo due calamite con cariche uguali: anche se mi oppongo ed insisto, vengo respinta. Non da lui, proprio da me. » La cosa brutta del mio mettere le carte in tavola era che non c'erano filtri né schemi. Veniva fuori tutto, in un flusso incontrollabile di parole e pensieri prima nascosti di cui a Nadežda non sarebbe importato poi molto ma che avrebbero distrutto me. Odiavo mostrare la mia fragilità, anche solo darne l'apparenza. Detestavo ammettere di volere accanto qualcuno che mi amasse a prescindere dal pessimo carattere; che quegli spuntoni minacciosi li avrei levigati e resi innocui con le mie stesse mani per le persone giuste.
    Avere dei punti deboli riconosciuti rappresentava uno svantaggio grandissimo in quella vita che sapeva di guerra e mai di pace. Mi accigliai di nuovo nel pensarci.
    « Probabilmente » e alzai gli occhi, a guardare verso il cielo, per calmarmi un attimo. Mi grattai anche un po' il sopracciglio destro con la mano sinistra. « è meglio così. Non sono una di quelle che sa farsi voler bene e quel bambino, se nascerà, finirebbe col detestarmi. La cosa sarebbe del tutto reciproca » quindi sfinita, mi sedetti sull'erba con la schiena appoggiata al tronco.
    « Credevo di fare la cosa giusta, lasciandolo. Per me stessa prim'ancora che per lui... Invece mi sento vuota come una zucca di Halloween. E io odio Halloween! Come me ne libero? Hai qualche tortura russa da mettere in pratica per trasformarmi in Cora, la regina senza cuore? »

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    ↘ These people are my family and if you hurt them in any way, I will kill you.



    Le parole erano spesso inutili, vuoti contenitori che pretendevano di esprimere sentimenti ed emozioni... le parole erano soltanto lettere a cui era stato dato un significato, pur non possedendone in realtà alcuno. Amanda non aveva alcun bisogno di ascoltare monologhi, consigli, assurde manifestazioni verbali di comprensione... Amanda aveva bisogno di essere ascoltata e di chiarire a sè stessa cosa realmente desiderasse.
    Cercava il dolore fisico e la stanchezza perché le avrebbero impedito di pensare, rendendo il flusso di parole - sempre loro - che invadevano la sua mente nulla oltre a confuse lettere prive di significato. Ero sicura della mia intuizione perché avevo vissuto la medesima situazione, in molte occasioni e per motivi differenti , e le parole non mi avevano aiutata mai.
    Mio zio Konstantin non parlava molto ma aveva sempre, sempre compiuto i gesti che maggiormente desideravo: un abbraccio, una carezza, un sorriso. Lui era stata l'unica ombra di famiglia che avessi avuto, prima di sparire probabilmente ucciso da mio padre, e lo ricordavo per i suoi atti, non per le sue parole.
    Il dolore annientava ogni dettaglio inutile e superfluo, spingendo le persone a concentrarsi sui aspetti importanti.

    Quando lasciai infine la sua mano, avendo almeno parzialmente risolto il suo problema i nervi, la vidi accasciarsi al suolo, quasi fosse stata privata di ogni energia; pur essendo scarsamente empatica e incline a condividere le sofferenze altrui, non potevo negare di essere dispiaciuta per lei, vittima di una sequenza di eventi piuttosto traumatici.
    Mandy aveva molti difetti e aspetti spigolosi - iniziando dal carattere superbo e arrogante, spesso molto simile al mio - ma era comunque triste notare quanto dura fosse stata la sorte (se così volevamo definirla) nei suoi confronti: aveva infine aperto il proprio cuore ed esso era stato squarciato brutalmente. La parte peggiore, nello specifico, risiedeva nel fatto che non fosse stata semplice sfortuna bensì il risultato delle azioni di altre persone... Ashleen aveva ingannato tutti mentre Kyle aveva agito con i suoi genitali, piuttosto del cervello.
    Amanda soffriva per le loro azioni, pur avendo inizialmente agito senza alcuna attenzione nei confronti dei sentimenti di Ashleen. Erano stati colpevoli tutti in quel triangolo amoroso ma lei ne aveva subito le conseguenze peggiori.
    Inclinai appena le labbra in un sorrisetto ironico quando si informò riguardo possibili torture russe: Potrei allenarti in un modo maggiormente... sovietico... ma non credo sarebbe realmente utile dissi sarcastica, posando una mano contro l'albero e osservandola con vaga empatia Non devi pensare né ad Ashleen né al loro bambino e neppure a Kyle. Tu sei l'unica persona a cui devi pensare in questo momento aggiunsi, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
    Serrai l'altra mano in un pugno e simulai, debolmente, l'atto di sferrare alcuni pugni, sicura che l'attività fisica l'avrebbe aiutata: Le opzioni, per quanto mi riguarda, sono molto semplici: vuoi vivere con Kyle? domandai, sollevandola e invitandola ad assumere una posizione difensiva Non pensare a loro, pensa a te stessa: se desideri averlo al tuo fianco, lo perdonerai, qualunque sia la sua colpa conclusi, colpendola senza preavviso alle costole.
    Non era concentrata, prevedibilmente, ma doveva scuotersi, doveva trovare nuovamente la sua forza di volontà... perché Amanda era forte, doveva soltanto ricordarlo.
    La sua pessima difesa mi consentì di colpirla nuovamente alle costole con durezza, costringendola a piegarsi su sè stessa, saltellando come se fossi una pugile: Coraggio americana, colpisci! Prometto di non spezzarti in due dissi con atteggiamento provocatorio, evitando di controllare il mio accento, parlando in modo molto, molto simile al famoso Ivan Drago... prima di colpirla nuovamente con un poderoso pugno nel centro del suo (non protetto) petto.


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    ↘ Alla fine, se non fai attenzione, quello che desideri può distruggerti.

    Sarebbe davvero fantastico resettare i sentimenti con un semplice click; cancellare definitivamente da testa e cuore ogni traccia di chi ci ha fatto soffrire; far sì che quell'amore o quell'amicizia importante, finito nel peggiore dei modi, non ci sia mai stato. D'un tratto niente più rimpianti o cuore in mille pezzi: solo la pagina di un libro che ha ritrovato il bianco puro e incontaminato originale, pronta ad essere arricchita e riempita di parole ed emozioni nuove - possibilmente belle. Peccato non si possa fare. Un giorno probabilmente, smaltita tutta questa rabbia che covo dentro come un piccolo mostro informe, finirò col ricordarmi solo le cose belle... Per il momento le uniche cose che mi ronzano per la testa sono tutte cattive, di pessimo gusto, tremende. Non solo per il ragazzo che ho scelto e che mi ha inferto la delusione più grande di tutte, ma anche per me stessa perché gliel'ho concesso.

    * * *

    La russa mi torturava la mano mentre mi guardava dritto negli occhi. Io me ne stavo ancora zitta, con il collo nascosto tra le spalle e la bocca mezza aperta, a sopportare un dolore lancinante nell'attesa che, semplicemente, finisse. Stava rimettendo a posto non solo i nervi, accavallati e doloranti, ma anche me... e lo faceva senza nascondersi dietro inutili frasi edulcorate o espressioni di circostanza in cui non credeva neanche un po'. Per com'ero fatta io, le avrei consigliato di infilarsele su per il culo quelle belle parole senza riscontro concreto... Lei era fatta così: era realista, tangibile, efficace e trattava tutto evitando le illusioni o di inculcare delle false speranze. La realtà per quanto dura e difficile da accettare era sempre la scelta migliore. Non potevo aspirare ad un miglior tipo di aiuto. A me non servivano belle parole né incoraggiamenti passivi: ce la farai, sei forte! o un più semplice deve passare mi avrebbero solo irritata di più. Avevo bisogno di qualcuno che mi prendesse per le spalle e mi desse una scrollata significativa, che mi risvegliasse dal torpore. Qualcuno che mi stesse accanto senza pretendere di sapere quanto cazzo mi avesse fatto male scoprire che il mio ragazzo avesse messo incinta un'altra, né tanto meno giudicare la durezza con cui avevo reagito a una botta simile. Nessuno poteva sapere più di me come cazzo mi sentissi. Nessuno.

    Nella mia distrazione, Nade ne approfittò per attaccarmi. Mi parlava e mi trattava come desideravo: senza compassione o sguardi inteneriti. Mi stava stimolando a svegliarmi dal torpore, a riprendermi quello che volevo per me (la libertà), a reagire. Mi colpì decisa al costato, costringendomi a piegarmi in due dal dolore e ansimare per il fiato che mi mancava. Con una mano mi coprii il punto ferito, con l'altra le chiedevo di fermarsi. Era un invito quasi del tutto istintivo, non volevo davvero che la smettesse. Quel suo modo di fare mi serviva e sarebbe stato stupido chiederle di smetterla solo perché mi stava facendo male. Quei pugni non erano niente se paragonati all'immensa delusione che mi aveva travolto con la forza devastante di uno tsunami forza 9.
    Con le lacrime agli occhi e il viso arrossato per i pugni inattesi, tornai piano in posizione eretta. Dopo un paio di colpi di tosse alzai anch'io i pugni chiusi, pronta a ricambiare/cominciare l'allenamento.
    CITAZIONE
    Non pensare a loro, pensa a te stessa: se desideri averlo al tuo fianco, lo perdonerai, qualunque sia la sua colpa

    La sua colpa. Qual era stata la sua colpa? Dal mio punto di vista, Kyle Walker ne aveva diverse e le ricordavo tutte. « Non lo perdonerei » dissi con un filo di fiato, indurendo i lineamenti e sentendomi dilaniare dal dolore « Non perdono chi dice di amarmi e non si degna di chiedermi come sto, dopo aver saputo che sono stata picchiata nei bagni da un gruppo di energumeni » e avanzai di un passo, saltellandole incontro, prima di provare a colpirla con due ganci « A maggior ragione, se so che sono rimasti impuniti. Non perdono chi si dimentica quello che abbiamo provato solo perché un'altra ti offre quello che cerchi su un piatto d'argento » più ripensavo a quelle cose, messe da parte scioccamente in virtù di un amore forte come il mio, più mi arrabbiavo e più caricavo la potenza dei pugni. Non sarei mai stata brava quanto Nade, che reagiva e parava come se venissero da una bambina di dieci anni, ma sentivo di star facendo dei passi avanti, che i suoi insegnamenti stessero davvero portando a dei risultati. Continuai su quella linea, diventando più feroce nei ganci, preferendo anche qualche calcio ogni tanto. « Mi ha messo nella condizione di essere l'altra. Io non voglio essere l'altra di nessuno, per nessuno » provai ancora, incazzata nera, a sferrarle dei colpi assurdi guidata da uno spirito rinnovato. Quelle cose non le avevo mai dette ad alta voce, e stavano venendo fuori come lava di un vulcano. « Mi voleva così tanto che quando l'ho tenuto fuori dalla mia vita me ne ha dette di tutti i colori, dal grigio trasparente al verde petrolio invisibile. Certo, aveva lei »
    Amore non voleva dire accettare per forza tutto quello che il partner faceva; amore non era stare con qualcuno solo per non sentirsi soli; amore era vivere di compromessi giusti, imparare ad apprezzare anche dei difetti, aiutarsi nelle difficoltà, aspirare insieme alla felicità. Amore era esserci, non solo con del sesso o delle parole di circostanza. Io non ero stata certo una delle migliori, avevo le mie colpe ma non nascondevo la testa nella sabbia fingendo che non esistessero.
    Sudata, affaticata, fisicamente distrutta avevo toccato il fondo. Non potevo che risalire ormai.

    Riuscii a colpirla solo solo una volta, con un calcio e sul braccio, e dopo essermene resa conto mi bloccai subito perché ero andata a segno e fino a quel momento non era mai successo. Mi piegai per riprendere fiato, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo sull'erba. Avevo capito quello che dovevo capire, raggiunto il risultato che speravo. Ottenuto un successo insperato. Alzai gli occhi su di lei per assicurarmi che stesse bene e soprattutto che non ponderasse di aprirmi a metà come un capretto.

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9 replies since 9/1/2019, 16:05   286 views
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