Maryville SZ - ready

Octavia + Robert

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    You know what, I was counting on you to be here, so, thanks a lot

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    Octavia - ~ leeloo •



    DOVE: area coltivazioni QUANDO: 11:20 - CLIMA: nuvoloso - TEMPERATURA: 20°

    Octavia e Robert sono amici. Molto amici, più di quanto ci si possa aspettare da un tipo riservato come Il Muto. Caratterialmente si compensano ed è forse proprio questo che fa funzionare così bene il loro rapporto.
    Tuttavia è sempre parso evidente a tutti - tranne che a Rob, che sveglio non è riguardo certi argomenti - che ci fosse altro ad unirli tanto: del tenero.
    Tra il lavoro impegnativo, i nuovi arrivi e la tensione inevitabile data dall'insicurezza generale, i due non hanno avuto tempo per fermarsi a pesare e analizzare i sentimenti. Soprattutto il contadino, che ha preferito dedicarsi anima e corpo al lavoro e al benessere della comunità piuttosto che affaccendarsi in questioni "misteriose". Sta bene nella sua solitudine e non soffre mancanze. Si è accorto di essere molto affezionato all'amica - e di esserne anche vagamente geloso - quando ha scoperto della sua piccola avventura con il biker che fa di tutto per far parlare di sé, Tyler/Teller/Biondino. Meno lo è la Jenkins invece, che sembra sempre punta da spilli invisibili e iperattiva, anche troppo quando è nei dintorni di Robert.

    È a metà mattina che i due si incrociano: lui a bordo del trattore, finalmente messo a nuovo dalle sapienti mani di Ruby, e lei a piantare altra lattuga.




    Robert Miller Il Muto
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    ↘Non credo all'impossibile, sarebbe come accontentarsi

    Finalmente avevo di nuovo il trattore. L'avevo dovuto portare in officina da Ruby per dei piccoli rumori, rimanendone privo per qualche giorno; faceva la differenza nei campi, facilitava di molto lavoro e spostamenti... Era stata dura stare senza ma ne era valsa la pena: se potevo dirlo, funzionava anche meglio di prima da quando ci aveva messo mano lei. Faceva miracoli con quelle mani... e poi quando andavo a trovarla o mi capitava di passare lì davanti, al rientro, ridevo molto. Mi "metteva in croce" con quella sua boccaccia e il linguaggio esplicito. Il bello stava nel non sentirmi affatto minacciato da quell'atteggiamento arrogante o dalle allusioni sconce. Mai, in nessun caso.
    Se l'avessi incrociata di nuovo, gliel'avrei detto che il trattore stava andando meglio di prima. Ero troppo realistico per dirmi che sarei passato a trovarla in officina o che l'avrei fermata in mensa, sapendo benissimo che non era vero: mi sarei trattenuto come al solito oltre l'orario di lavoro e alla fine mi sarei sentito troppo stanco per fermarmi a fare due chiacchiere con chiunque. Perfino con Ruby, che con me era come se parlasse da sola per il mio livello d'interazione e partecipazione.

    Percorsi la distanza che separava la piccola capanna, adibito a ufficio/organizzazione, ai campi di lattuga in pochissimo tempo. Mi serviva per arare una nuova, piccola area in cui avrei sistemato altra lattuga dopo il recente raccolto. O forse dei porri, già che avevo i semi. L'autunno era una buona stagione per gli ortaggi: lattuga, spinaci, carote, porri e ovviamente grano. I campi erano davvero molto grandi, ci permettevano di coltivare una discreta quantità di verdure e frutta, sufficiente a sfamare per tutta la stagione ogni singolo abitante presente in città. Ci costava molto lavoro, impegno e sacrificio soprattutto dato il totale ritorno alla manualità, ma erano tutti ampiamente ripagati dalle facce felici e sollevate che s'incontravano in mensa o in giro.
    Salutai ogni tanto chi riuscivo ad intravedere da lì sopra e mi fermai in mezzo alla piccola strada di terriccio per chiedere ad un altro, Steven, come stesse andando. « Ok. Che mi dici dell'impianto d'irrigazione: funziona? » domandai, una volta spento il motore ed essere sceso dal mezzo con un paio di mosse agili. Sui campi non mi vergognavo di mostrare il dito mondo, né di usarlo per indicare cose. « All'inizio, da quella parte, sta dando dei problemi. Dimmi se hai difficoltà » sbrigativo ed essenziale. Non guardavo in faccia nessuno, mi concentravo sulle foglie, i frutti, la terra: erano loro la mia priorità. Forse non ci sapevo fare con le persone eppure a quella gente andavo bene comunque. Annuii ascoltando la sua conclusione e quando sul punto di congedarmi, forse un po' distratto dal sole negli occhi, inciampai in un grosso cesto di lattughe. Rischiai di cadere all'indietro come un sacco di patate; sbracciai vergognosamente e mi sentii pizzicare sottopelle per la paura. Per fortuna Steven aveva dei riflessi ben più pronti dei miei e mi strinse per un avambraccio. Era ben piazzato, con una pancia e delle spalle grosse quanto un armadio, eppure lavorava bene... Mi guardò trattenendo a stento un sorriso per la mia goffaggine.
    « Tutto a posto, grazie. Grazie, Steven. È tuo? » mi sistemai il colletto della maglietta bianca, più per riacquistare la calma interiore che per estetica. Annuii di nuovo e abbassai la testa, trattenendo il fiatone e cercando con lo sguardo chi avesse lasciato in giro il cesto pieno, per altro "incustodito", visto che non era dell'uomo accanto a me.

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    Edited by aquamärine - 9/4/2019, 10:33
     
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  2. ~ LeeLoo •
     
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    Octavia Jenkins
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    ↘ Never A Failure Always A Lesson

    Nuvole.. nuvole.. e ancora nuvole! sospirai rassegnata, portando la testa indietro, su un tronco d'albero sistemato per terra, dove avevo deciso di sdraiarmi per una piccola pausa dal lavoro: le galline mi stavano facendo impazzire, correvano da una punta all'altra, senza mai fermarsi e raccogliere le uova era un' impresa titanica dato che la maggior parte delle volte non avevano voglia di alzare il loro delizioso popò piumato e mi assaltavano quando spargevo il gran turco per terra: una vera e propria palestra.
    Ecco perchè, stanca e sfinita, avevo deciso di concedermi qualche minuto di meritato riposo, cercando la compagnia di piccoli raggi di sole, Ma per avere un colorito meno da sposa cadavere che cosa devo fare? domandai retoricamente a me stessa, parlando da sola. Adoravo l'estate e le stagioni calde, non vedevo l'ora che l'inverno ci salutasse insieme al freddo, la pioggia e le nuvole. Ero meteoropatica, il mio umore camminava insieme alle condizioni del cielo: meraviglioso.
    La giornata di lavoro era ancora lunga, Hegle, una dolce signora anziana che si dedicava solitamente al bestiame, era malata ed ero la sua sostituta. Mi sarei dovuta occupare sia del raccolto che degli animali, un' accoppiata vincente.
    Pensavo di avere tutto sotto controllo, di essermi organizzata per bene con un bel programma in testa e invece.. dopo aver raccolto le lattughe e sistematole in un cesto, mi ricordai che le galline dovevano mangiare e che dovevo prendere le uova ed.. ero finita a cercare un pò di sole, maledicendo le nuvole.

    Decisi di alzarmi, di porre fine alla pacchia e di tornare al lavoro, non ero una scansafatiche, anzi, adoravo darmi da fare, mi aiutava a distrarmi, a non pensare e a impegnarmi in qualcosa che potesse essere utile alla comunità. Mi faceva sentire "viva" e libera, piena di energia e di forza per ricominciare, nonostante l'epidemia mi avesse privata di ogni cosa.
    Non avrei mai abbandonato il lavoro ma ogni tanto, mi concedevo qualche piccolo momento di svago o distrazione giusto per rendere il tutto un pò più leggero.
    Portavo sempre a compimento tutto ciò che mi veniva assegnato o le necessità giornaliere, ma lo facevo con i miei tempi e con le mie modalità, lontana dall'essere schiava di qualcuno o da sottostare alle regole di un capo: tutti eravamo utili, ma nessuno indispensabile. Dovevamo stare al nostro posto e attenerci alle regole, niente di più semplice.
    Su.. coraggio, muoviamoci parlai a me stessa, incoraggiandomi ad alzarmi, stirando le braccia in alto come se mi fossi appena svegliata. Ero propositiva nel riprendere l'attività lavorativa, decisa a evitare alcun tipo di pausa o distrazione.
    Riuscii a fare solo qualche passo, in direzione del pollaio, quando in un piccolo cespuglio, notai una bellissima farfalla. Aveva le ali colore dell'acqua marina, in una bellissima miscellanea rosata sfumata. Non potei fare a meno di avvicinarmi e lasciarmi conquistare da una nuova disattenzione, Ehi.. wow.. sei stupenda.. allungai le dita, delicatamente, quasi come se volessi toccarla e sfiorarla.
    Oh no.. non andartene, volevo solo guardarti, non farti del male! parlai verso la farfalla mentre spiccava il volo, allontanandosi, sicuramente spaventata. Era un animale talmente raro in quel periodo di morte, desolazione e tristezza, che mi sembrò un apparizione celestiale, un animale mitologico.
    Dove vai? Torna qui.. prometto di non disturbarti! sembrai pazza, probabilmente, nel rivolgere così tante parole e attenzioni a un insetto come se potesse realmente comprendermi e rispondermi.
    La seguii, dimenticando completamente il lavoro, vogliosa di ammirarla nuovamente da vicino. Non mi accorsi della strada percorsa né dove la farfalla si stava dirigendo. Tornai alla realtà soltanto quando vidi Rob e Steven, intenti ad "abbracciarsi" in modo strano, come se l'uno volesse sorreggere l'altro, con al centro il mio cesto delle lattughe semi rovesciato e.. fu proprio lì, sul manico, che la farfalla decise di posarsi.
    Rimasi interdetta, ferma, immobile, completamente in silenzio, colta alla sprovvista. Feci una rapida panoramica della situazione, focalizzandomi su Robert e su Steven.
    Dannata farfalla.. che figura di merda pensai in silenzio, ascoltando la domanda del ragazzo riguardante gli ortaggi. Se il destino voleva farmi un regalo con quella farfalla portandomi da Rob.. avrebbe dovuto organizzarsi meglio.
    Il cuore battè forte non appena incrociai lo sguardo azzurro di Robert. Mi succedeva sempre, ogni qual volta lo intravedevo, anche di sfuggita. Fortuna che non poteva sentirlo.
    Ehm.. ciao Robert, ciao Steven alzai la mano in segno di saluto, come se nulla fosse accaduto, Vi chiedo scusa.. il cestino è mio, l'ho lasciato in mezzo.. scusatemi.. mi.. sono distratta un attimo sentenziai, assumendomi tutte le responsabilità e le colpe.
    Sempre la stessa storia con Rob presente, diventavo come dislessica, incapace di mettere insieme delle parole per formare una frase di senso compiuto, perennemente in stato di nervi e agitazione come se uno sciame di api mi pungesse di continuo.

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    Robert Miller Il Muto
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    ↘Non credo all'impossibile, sarebbe come accontentarsi

    Mi rimisi a posto: camicia, cintura, scarpe. Steven mi guardava dritto in faccia e - l'avrei evitato volentieri ma purtroppo ero fatto a quel modo - la cosa mi imbarazzava da morire. Era divertito e come biasimarlo? La scenetta appena vissuta era stata piuttosto ilare, chiunque al suo posto avrebbe sorriso... forse anch'io, una volta superata la fase "imbarazzo", avrei finito col riderci su.
    Trovai nel sistemarmi le maniche della camicia l'escamotage perfetto per distrarmi e tornare alla svelta alla normalità. La mia timidezza - forse patologica, forse frutto di un'insicurezza radicalizzata - mi costringeva a non fare niente che potesse attirare l'attenzione; non volevo essere osservato o scrutato, né tanto meno deriso. Non mi piaceva, preferivo di gran lunga passare inosservato ed essere io, piuttosto, ad osservare per capire gli altri.

    Dopo avere annuito e finalmente alzato gli occhi su Steven e su altri due contadini due file più avanti, stavo per abbassarmi a raccogliere le lattughe rotolate fuori quando ci raggiunse Octavia. Il cestino era il suo, disse. La guardai in silenzio, mentre mi grattavo con l'indice sulla tempia: non ero arrabbiato né contrariato, forse solo un po' nervoso nell'incontrarla senza preavviso.
    Avevo una cotta per lei, quasi stratosferica per i miei standard, ma Maryville era una cittadella piccola e le voci passavano davvero in fretta di bocca in bocca... Sapere che fosse andata a letto con il motociclista non era stato bello e, insomma, mi aveva portato a farmi da parte. Senza averle mai nemmeno confidato i miei sentimenti. Di intenzioni non ne avevo, non potevo parlarne: stavo bene nella mia solitudine anche se a volte la sentivo stretta, e poi un tipo come me avrebbe faticato a conquistare la sua stessa ombra figuriamoci un'altra persona con il carattere che mi ritrovavo. Non ero certo un amicone che sapeva farsi voler bene. Mi aveva un po' ferito, come solo un innamorato a senso unico può sapere, perché per un periodo avevo creduto che lei mi ricambiasse. Dovevo essermi flashato (è così che ha detto Ruby, l'altro giorno?)
    Mi abbassai e, nel farlo, la farfalla volò via. Fu solo allora che la vidi e, da vero estimatore della bellezza dotato di una certa sensibilità, la seguii con lo sguardo un po' ammaliato. Vedere delle farfalle era già molto bello, una con quei colori era semplicemente uno spettacolo. Tornai presto alla realtà perché non era quello il momento di perdersi in fantasie o per dimostrare di avere un animo ancora sognatore. « Non fa niente » risposi, usando sempre poche parole. Tra i due, era sempre stata Octavia la logorroica, quella che attaccava bottone anche nelle giornate storte, che non ti dava tregua finché non riusciva ad ottenere quello che voleva. Era tosta e ribelle... forse proprio per quello la trovavo così affascinante, perché capace di arrivare dove io non pensavo nemmeno di spingermi. Raggiunsi due lattughe, afferrandole con una mano sola dal gambo reciso col coltello, e le misi a posto. « Pensavo di essere io, il sognatore. Cos'è, stai cercando di rubarmi la fama? » commentai stando ancora in ginocchio e guardandola dal basso. Avevo rotto il muro di ghiaccio con lei, che forse era l'unica - dopo Reese - con cui riuscissi a parlare o tentare di intavolare una conversazione. La notizia del suo flirt con uno dei nuovi arrivati mi rendeva un po' più rigido, ma chi se ne sarebbe mai accorto?

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    Edited by aquamärine - 9/4/2019, 10:33
     
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    Octavia Jenkins
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    ↘ Never A Failure Always A Lesson

    State bene? domandai ai ragazzi, premurandomi che la mia distrazione non avesse causato troppi danni.
    Le lattughe.. sembrano stare bene commentai divertita, giusto per scherzare e smorzare un pò l'imbarazzo e la tesone di quel momento, raccogliendo la verdura per terra, riponendola con cura all'interno del cesto, senza disturbare la farfalla.
    Che cosa stavate facendo di bello? Siete già stati dalle mucche? provai a distrarli da quella situazione, a dimenticare i danni della mia sbadataggine, Avete sete? E' fresca e depurata dal fiume! chiesi, prendendo in mano la borraccia e due piccole ciotole in metallo da utilizzare come bicchiere, riempiendole.
    Nonostante ci siano le nuvole, fa parecchio caldo oggi mi stavo arrampicando sugli specchi, cercando di "sopravvivere" alla vicinanza di Robert, senza che le paranoie sulla mia inadeguatezza nei suoi confronti, prendessero del tutto il sopravvento.

    Io? oh no assolutamente no! abbozzai un sorriso, senza minimamente abbassare lo sguardo, tenendo ancora ben salda la ciotolina tra le mani, mi sentivo emozionata, come una piccola adolescente alla prima cotta al College.
    L'esclusiva di sognatore te la lascio volentieri.. io non ricordo mai che cosa sogno.. è assurdo commentai, salutando Steven che nel frattempo, aveva deciso di dileguarsi, lasciandoci da soli. Quindi credimi.. sarei davvero una pessima sognatrice feci ironia su me stessa, come ero solita fare senza crearmi troppi problemi.
    Non ero una persona modesta e neanche vanitosa, tendevo a mettere in risalto i miei difetti e mai i pregi: ero convinta di non averne.
    Per il resto.. ehm, come stai? Come vanno le cose? nell'imbarazzo più totale, cercai di creare dialogo, in modo da non vederlo andare via e chiudere ogni minima possibilità di.. approccio.
    Dopo la cazzata con Tyler, i miei sentimenti e la mia cotta per Robert, non era minimamente svanita.. anzi, aumentata e confermata. Mi maledicevo ogni giorno per non essere riuscita a dichiararmi durante la festa del Ringraziamento, in qualche modo, avevo voglia di rimediare e recuperare il tempo perduto, ma ero completamente negata.
    Che cosa avrei dovuto dirgli? Ciao Robert, sai che sei bellissimo e che mi piaci da morire? Provo qualcosa per te ma non so come dirtelo? impossibile, una vera impresa da dio.
    Avrei utilizzato il "metodo Octavia" ovvero improvvisare, sperando di riuscire nell'intento, a piccoli passi. Sai.. Hegle è malata, la sostituisco io oggi. Stavo per andare a raccogliere le uova quando.. spostai lo sguardo verso il cesto e la farfalla, ancora lì.
    Quando la farfalla mi ha distratta.. rivolsi un leggero sorriso verso l'insetto dai colori brillanti, cedendo nuovamente alla tentazione di avvicinarmici, ammirandola nella sua bellezza, allungando la mano per ammirarla al meglio.
    Stranamente, per chissà quale motivo, non appena accostai il braccio, la farfalla spiegò le ali, in un piccolo volo, sul mio braccio.

    Oh.. ciao.. vuoi essere mia amica? domandai meravigliata, come una piccola bimba, non appena la farfalla si posò sul mio braccio. Quando la desolazione, la tristezza e il nulla ti circondano, quando il mondo che conoscevi, con tutti i tuoi affetti, non esisteva più, non era difficile trovare gioia e euforia nelle piccole cose.
    Ma le sorprese, non erano finite. Come d'incanto, comparve dal nulla, un'altra farfalla.
    Mi raggiunse, posandosi sul braccio, insieme alla parirazza, Rob! E' incredibile guarda! Ne è arrivata un'altra! Devo essergli simpatica! Sono bellissime! Guardami! Guardami! Sono l'amica delle farfalle! non riuscii a trattenere l' entusiasmo.

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    Robert Miller Il Muto
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    ↘Non credo all'impossibile, sarebbe come accontentarsi

    Quanto avrebbe tardato a palesarsi la Octavia chiacchierona? Da che la conoscevo, ogni istante era stato buono perché mi sommergesse con fiumi di parole; era come se mi prendesse a cavallo di una sua personale nuvoletta e mi portasse in giro per lande meravigliose (rese tali dalle sue descrizioni dettagliate e colorate forse dalla sua presenza). Trovavo bellissimo che riuscisse a vedere il bello in ogni cosa, anche in un tempo dov'era assai difficile. Avevo visto anche il suo lato ribelle e spregiudicato, nel tempo trascorso a Maryville: quante volte ci eravamo scontrati su temi e discorsi sensibili, che fuoco aveva tirato fuori nel difendere la sua realistica visione della vita! Era proprio un osso duro... Eppure non si vergognava di manifestare anche quella fanciullezza delicata, che forse aveva dovuto nascondere per poter sopravvivere all'apocalisse. Ah, eccola qui.

    Maryville era stata salvezza per moltissimi di noi. Per un tempo disperatamente lungo ci eravamo sentiti persi, prosciugati da ogni speranza e visione del futuro. Avevamo dovuto affrontare perdite e amarezze, scontrarci non solo con i morti ma soprattutto con vivi spregevoli ed egoisti, tirare fuori da qualche parte nel nostro profondo un'Io che in altre circostanze non sarebbe mai emerso. Avevamo tutti ucciso, perso quell'innocenza che per tutta la vita ci aveva fatto dire convinti "Una cosa così non la farò mai!" Ricordavo ancora il primo gruppo di sopravvissuti incontrato a Seattle. Ero rimasto da solo per così tanto che stavo per perdere la testa... Avevo dovuto saccheggiare per sopravvivere, finire delle persone, lottare per una lattina di pesche sciroppate e dosarle per arrivare alla fine della settimana. Il ricordo di quel periodo, di quel momento particolare in un caffè in disuso era ancora così vivido nella mia testa; sentivo le emozioni vorticare furiose e quando la cosa si faceva insopportabile rileggevo le pagine striminzite del mio taccuino che gli avevo dedicato, per esorcizzare il disagio, imprimerlo ancora una volta nell'inchiostro. Il muto, il lupo solitario che sapeva stare da solo, aveva gioito e straparlato davanti a quelle persone. Due donne e due uomini di cui avevo perso ogni traccia pochissimo tempo dopo ma a cui sarei stato sempre riconoscente.
    Forse, proprio come me in quel periodo, Octavia aveva dovuto reprimere quel suo lato goliardico e a tratti infantile perché ci si aspettava che lo facesse se aveva intenzione di sopravvivere. "Non c'è posto per i deboli" sembrava essere diventato il motto dell'epoca.

    L'ascoltai standomene in silenzio, inginocchiato a raccogliere le lattughe rotolate fuori dal cesto.
    « Non ancora. Abbiamo montato l'impianto di irrigazione » le risposi pragmatico prima di alzarmi col paniere sotto braccio e prender fiato « dobbiamo collaudarlo » sentii a quel punto una mano sulla spalla. Steven stava andando via, sarebbe tornato all'inizio del campo per dare un'occhiata ai problemi che gli avevo segnalato. Annuii e gli dissi, senza troppi giri di parole, che l'avrei raggiunto appena possibile. Rimasi da solo con Octavia. Beh, da solo proprio no: in un campo così grande e pieno di braccianti era difficile dirsi soli. Mi chiese come mi andassero le cose e per una volta avrei voluto essere sincero.
    Non lo sapevo. Non sapevo come mi sentissi. Ero vivo e si poteva già dire fosse abbastanza. Al sicuro, in una cittadella fortificata a porre le basi per una nuova civiltà. Scombussolato da sentimenti che non vedevano la luce e che imprimevo nel mio taccuino sotto forma di anagrammi, poesie e brevi racconti. Geloso. Ammaliato da bellezze femminee, in sottofondo, di cui ignoravo il reale potere. Non lo sapevo.
    « Sto bene » era la risposta più giusta da dare, quella che avrebbe dissipato ogni dubbio e spento ogni domanda d'approfondimento. « E tu? » le voci corrono in fretta, Octavia Jenkins avrei voluto dirle. In un certo senso, farle capire che avessi saputo e che mi avesse dato fastidio perché avevo creduto di piacerle. Le diedi le spalle e posai il cesto sul trattore, mentre mi raccontava della sua giornata e poi... poi veniva circondata da farfalle. Quando mi voltai per proporle un passaggio la trovai emozionata come una bambina, a braccia aperte, con due farfalle che le svolazzavano intorno. L'amica delle farfalle... sembrava il titolo di un libro. Sorrisi ma non in maniera troppo evidente, non volevo che fraintendesse. « Saresti in grado di farti amica anche un troll. Lo vuoi un passaggio, amica delle farfalle? »

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    Scusa per il ritardo, la primavera mi uccide! :abd:
     
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  6. ~ LeeLoo •
     
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    Octavia Jenkins
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    Rimasi per qualche minuto completamente immobile, come una statua, ad ammirare Robert in tutta la sua bellezza.
    Era perfetto, ogni cosa a proprio posto. Non gli mancava niente. La sua aria da "bello e impossibile", e da "ramingo solitario in mezzo al paesaggio bucolico", risvegliava in me, ogni volta, istinti e voglie poco.. puritane.
    Ero innamorata di lui? Probabilmente si. Ma non avevo il coraggio di dirglielo e quando finalmente fui pronta.. la festa del Ringraziamento andò a puttane.
    La cazzata che avevo fatto con Tyler non la condiranno nemmeno. Lo avevo completamente rimosso, come se non fosse mai successo. Ero stata stupida a farmi trascinare dalla bellezza "animalesca" del biker, mossa semplicemente dalla convinzione di non piacere a Robert e da qualche sorso di birra di troppo.
    Non provavo nulla per Tyler, non significava niente per me. Per come era nato, era già morto e sepolto e non avevo la minima intenzione di cascarci di nuovo o di replicarlo.
    Robert era diverso.. lui era diverso. Non c'era una cosa in lui che non mi piacesse o che non mi coinvolgesse. Io ero l'idiota di turno e, molto probabilmente, neanche lo meritavo un ragazzo così.
    Ma avevo deciso: doveva sapere la verità e doveva sapere tutto ciò che provavo. Non avevo nulla da perdere e se avessi continuato a temporeggiare, forse, avrei solo peggiorato il tutto.

    Le farfalle volarono via, insieme a quel piccolo momento di fanciullesca spensieratezza che mi avevano regalato. Le osservai allontanarsi verso l'alto, nell'azzurro del cielo, sino a diventare degli invisibili e minuti puntini scuri.
    Dici che le ho spaventate con tutto il mio entusiasmo da cavernicola? Forse ero un pò inquietante in effetti.. commentai retoricamente, arricciando il naso in una smorfia divertita, Ma ti giuro.. non sono riuscita a trattenermi! Adoro gli animali e.. non vedevo una farfalla da non so quanto tempo.. ammisi, senza troppi problemi, in un altro esiguo momento di spontaneità assoluta.
    Sorseggiai un altro pò d'acqua dalla ciotola, osservando la "parte posteriore" di Robert chino a sistemare le lattughe, Ah già vero, l'impianto di irrigazione! Alla fine, siete riusciti a farlo arrivare, con le giunture, anche al campo di grano? O vi siete dovuti fermare agli alberi da frutta? chiesi, ricordando perfettamente quei miseri intoppi e incidenti di percorso tra lui e Steven mentre sistemavano e costruivano il tutto.
    Sai.. sarebbe bellissimo avere un impianto di irrigazione, anche piccolo, che passa dal recinto delle galline, delle mucche e dei maiali.. aiuterebbe nella pulizia dei loro.. si insomma mi hai capita! esclamai, con una linguaccia, stranita quasi dal non volere usare la parola "cacca" o "merda" o derivati e sinonimi.
    Mi ero imposta di essere più "dolce" femminile e aggraziata, convinta che solo in quel modo Robert mi avrebbe trovata interessante e piacente e non semplicemente una bracciante collega simile più a una camionista o scaricatrice di merci al porto. Forse, sognavo troppo a occhi aperti. Non gli piacevo, probabilmente non gli sarei mai piaciuta. Lui era un principe e io? Io una povera guerriera.

    Io? Io.. potrei stare meglio sincerità contro sincerità. Nonostante fisicamente stessi benissimo, sentimentalmente e mentalmente non potevo dire lo stesso.
    Ero arrivata l punto di sognarlo la notte, a torso nudo, sudato in mezzo ai campi, oppure in atteggiamenti sessuali e intimi con la sottoscritta in mezzo al fieno all'interno del fienile e nelle balle di grano sistemate sopra i camion. Sembrava quasi assurdo da dire o da pensare, ma in lui vedevo la prospettiva di.. futuro.
    Ovvio che riuscirei a farmi amico anche un troll! Io sono un troll e poi sono simpaticissima! Anche i mostri mi adorano! scherzai, sorridendo, in piena autoironia. Sapevo benissimo di non incarnare nessuno stereotipo di principessa o di ragazza dei sogni, ma cercavo di rendere sempre la pillola un pò.. più dolce, provando a trasformare la mia irruenza, impulsività e mascolinità in qualcosa di più.. piacente e divertente. Insomma, provavo in ogni modo a trasformare i miei difetti in possibili successi e punti di forza.
    Certo che voglio un passaggio! Non vorrei mai che ti perdessi in mezzo ai campi o che non sapessi fare partire la vecchia Bess... ah si non lo sai, il trattore è femmina, l'ho chiamata Bess! mi avvicinai al sedile, pronta a montarci sopra. Era il momento giusto? Quello perfettamente adatto? Dovevo comunque provarci, come mi aveva suggerito Erin.
    Andiamo? Ho.. ho anche una cosa da dirti.

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    Robert Miller Il Muto
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    ↘Non credo all'impossibile, sarebbe come accontentarsi

    Era lei la vera regina della conversazione: offriva pretesti perfetti per rompere il ghiaccio, dirigeva benissimo lo scambio d'informazioni e spunti di riflessione, dai più seri a quelli più leggeri. Molte volte ci eravamo trovati a ridere per delle cose senza senso e senza ragione, altre a discutere animatamente per visioni contrastanti su Vita e Morte, tanto per citarne una. Con quel temperamento e il caratterino tutto pepe sarebbe stata in grado di conquistare chiunque. Di sicuro aveva conquistato me e quando ne avevo preso coscienza, assecondando il primo pensiero invece di reprimerlo e minimizzarlo, il bisogno di solitudine e quell'istintivo desiderio a non creare dei legami avevano tentennato pericolosamente.

    La bellezza semplice, acqua e sapone, aveva dato piacere agli occhi. Il fuoco che le ardeva dentro aveva invece nutrito e scaldato la mia anima sconquassata dagli eventi. Non si sforzava per mostrarsi diversa da com'era, di apparire in un modo solo per piacere alla gente, e nemmeno temeva il giudizio altrui (a differenza mia). Lei e Reese non si assomigliavano per niente, eppure per entrambe avevo provato qualcosa che andasse oltre la semplice amicizia. Erano come fuoco e ghiaccio, terra e aria, bianco e nero. L'una l'opposto dell'altra. Nutrire dell'attrazione per due persone contemporaneamente non doveva essere così anormale come avevo pensato all'inizio: entrambe avevano delle caratteristiche calamitiche per una personalità come la mia... Reese era forse la candidata ideale sulla carta: dimessa, dolce, altruista. Octavia era a tratti "incostante", ribelle per natura; smuoveva il mondo per testardaggine, sarebbe stata capace di metterlo sotto sopra solo per riuscire in quel che voleva o dimostrare di aver ragione. Aveva la testa dura come il marmo ed era così difficile, a volte, farle puntare l'attenzione su un punto di vista diverso dal suo. Ecco che cosa trovavo stimolante in lei: quel battibeccare continuo, quel flirtare sottile e mai spudorato, innocente e allo stesso tempo intriso di sesso e voglie inespresse.
    Non condannavo che fosse andata a letto con un altro. Non stavamo insieme, non mi aveva tradito. Avevamo flirtato, quello sì, ma non ci eravamo mai detti innamorati o con intenzioni diverse dal rimanere amici. Era fino a prova contraria una donna libera di conoscere e concedersi a chi le piaceva, specie in un mondo in cui il confine tra la vita e la morte era più labile che mai. Non potevo tuttavia evitare di essere geloso al pensiero di quanto fosse stato, di essere incazzato e chiudermi ancora di più a riccio perché ero fatto a quella maniera. Sapendo, non mi sarei esposto. Era probabilmente un mio limite ma agivo così da sempre.

    - - -

    Rimesse le lattughe nella cesta e caricate sul trattore, mi fermai lì accanto con un braccio piegato appoggiato alla porta. Octavia parlò e mi spiegò tutto, anche il non richiesto, e mi strappò un sorrisino divertito. Non era un ridere di lei ma con lei. Alla fine risposi solo a quel che effettivamente sapevo.
    « Abbiamo coperto abbastanza terreno, fino ai campi di grano. Stiamo aspettando che gli esploratori trovino e ci portino altre tubature, soprattutto interruttori, per continuare. Spero solo che siano più resistenti di quelli che già abbiamo » sistemai il cappello sulla testa e ascoltai la sua proposta: portare delle tubature anche alle zone allevamento. La presi sul serio, tanto da corrugare la fronte ed assottigliare lo sguardo per cercare di guardare tridimensionalmente. La sua idea non era sbagliata, anzi... Non risposi nulla, mi limitai ad indicarla con un dito come a volerle dire "ben fatto" prima di farle cenno di salire su.
    Aprii la portiera e dopo i tre scalini finalmente fui al mio posto. Il mio trattore aveva la possibilità, sul retro, di arare il terreno con l'ausilio di una componente aggiuntiva e di trasportare un rimorchio: era quanto di più comodo potesse esistere in quel mondo e semplificava il lavoro nei campi. La settimana vissuta senza era stata lunga e anche abbastanza difficile...
    Bess, l'aveva chiamato così Octavia il mio trattore.
    « Dici sul serio? Bess? » le chiesi, pausando la messa in moto e guardandola prender posto in quello spazio angusto e strettissimo. Era ad un posto soltanto ma erano state così tante le volte in cui avevamo viaggiato così stretti e vicini che avevamo trovato la nostra dimensione, una specie di equilibrio ecco. Scossi la testa e misi in moto. Il cambio manuale funzionava alla grande: era leggero e non sentivo più il rumore e l'attrito degli ingranaggi. Inserii la prima marcia e, dopo il tono grave con cui disse di dovermi parlare di una cosa, partii a labbra strette.
    « Certo » risposi soltanto, dopo aver grattato un lato del naso. Partii.

    - - -

    I "ti devo parlare" mettevano sempre in allarme. Avrei voluto dire di sapere con certezza di cosa volesse parlarmi - forse di lei, forse di quel biker, forse del lavoro - ma, per quanto avessi qualche idea, nessuna mi sembrava appropriata al tono grave con cui l'aveva annunciato. Lasciai quindi che calasse il silenzio tra noi, in quell'abitacolo striminzito che odorava di terra ed erba tagliata. Guardavo i campi smisurati davanti a me, il verde delle lattughe a sinistra e il rosso dei pomodori a destra; il cielo grigio e qualche nuvolone nero in lontananza. Lei era così vicina, il suo odore mi impregnava le narici e quasi sovrastava tutti gli altri ben più radicati nell'ambiente chiuso.
    « Si tratta di quel tuo amico, il nuovo arrivato? Victor? Sei preoccupata per lui? » chiesi modulando la voce perché non tremasse troppo per l'andatura altalenante del trattore.

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    Ciao Bess! esclamai entusiasta, come se stessi parlando realmente con un essere vivente, una volta entrata dentro l'abitacolo del grosso trattore, sistemandomi comodamente sul sedile lato passeggero.
    Ebbi come l'impressione che all'interno o del mezzo di trasporto, i sedili, il volante, ogni cosa che lo componeva, avesse il profumo di Robert. Una vera delizia per l'olfatto, oltre che per gli occhi con la presenza del ragazzo.
    Ripetei più volte in mente, in silenzio, il discorso che avevo intenzione di servire al barbuto, pieno di metafore, aggettivi dolci e piccoli vezzeggiativi.
    Qualcosa di estremamente romantico e passionale, ad esempio come nei dialoghi tra Elizabeth e Mr Darcy che avevo recentemente letto in "Orgoglio e Pregiudizio". Volevo fare bella figura, volevo fargli capire quanto fossero puri e sinceri i miei sentimenti e che sapevo essere come una "ragazza normale" e non come un maschiaccio con cui ruttare e bere birra.
    Robert mi piaceva veramente, mi piaceva da sempre. Se non fosse stato per colpa della cazzata con Tyler, mi sarei dichiarata molto prima, senza perdere tempo.
    Eppure, fu proprio quella cazzata a farmi capire, quanto in realtà mi piacesse "il muto" e.. che ne fossi addirittura innamorata.
    Non ero affatto sicura che potesse ricambiare i miei sentimenti e le mie attenzioni. Non ero dolce, non ero delicata, non avevo un fisico da dea del paradiso come Reese e non avevo una capigliatura lucente, morbida e folta come quella di Sarah.
    Le principesse delle favole erano totalmente lontane da me.. le guerriere amazzoni invece, erano le mie anime gemelle.
    Come potevo anche solo sperare o illudermi che Robert avesse potuto trovare qualcosa di interessante in me? Ma ormai avevo deciso, via il dente, via il dolore.

    Gli animali sarebbero felici di essere.. lavati. E sopratutto i terreni dove pascolano o dormono o.. mi fermai. Niente parole "brutte", mi corressi prima del previsto, O si dedicano ai loro "bisogni" abbozzai un piccolissimo rosso, mi sentii come una piccola maestrina di scuola elementare, dotta e sapiente tanto da utilizzare parole "colte".
    Mi prendevo sempre in giro, l'autoironia era un mio tratto distintivo. Sapevo benissimo di non essere perfetta e non ne facevo mistero.
    Sporsi il viso dal finestrino del trattore, poggiando parte del braccio sul davanzale in modo da affacciarmi con tanto di piccole e invisibili carezze del vento sul viso, a scompigliarmi i capelli.
    Adoravo i colori dei campi vicino al tramonto, quelle misture e miscellanea cromatiche in gioco con i raggi solari e il profumo di.. natura.
    Se fosse stato possibile, mi sarei trasferita proprio lì, lasciando i dormitori e le case, per una piccola fattoria o baita completamente immersa nel mondo bucolico. Il mio Eden personale.
    Non potei indugiare e distrarmi ulteriormente. Robert aveva accettato il mio "inviato" al dialogo, Cupido era ansioso di scoccare la sua freccia.

    Non potevo più tirarmi indietro. Era la mia occasione non doveva essere sprecata o avrei fatto la stessa fine del giorno del Ringraziamento.
    Le parole sarebbero rimaste nella mia testa, completamente morte senza sfogo e.. forse avrei perso Robert per sempre.
    Non dovevo comportarmi da stupida: eravamo adulti, potevamo affrontare qualsiasi discorso e questione, che cosa poteva andare storto? Robert poteva rifiutarmi e io fossilizzarmi in una totale figura di merda avendo semplicemente voglia di sparire.. niente di grave.
    Presi un bel respiro profondo, metaforicamente inghiottendo la pillola del coraggio, spostando lo sguardo verso il suo profilo e.. Victor.
    Victor?! No ma che cazz..no!
    Caddi dalle nuvole con quella sua domanda, mi spiazzò completamente. Non era il momento di parlare di Victor, completamente fuori luogo.
    No.. cioè, non che non sia preoccupata per lui, ma dovevo dirti un'altra cosa provai a rimettere a posto i tasselli del puzzle che avevo in testa, tentando di non "perdere l'attimo", Sono preoccupata lui è vero.. da quando l'ho conosciuto, alla nostra separazione e adesso al ritrovarlo qui.. è molto cambiato, non è più quello di prima.. non oso neanche immaginare che cosa abbia passato prima di raggiungere la nostra Safe Zone ma.. dovetti riprendere nuovamente fiato, neanche fossi in un immersione subacquea, in piena apnea, Ma possiamo parlarne dopo? In realtà quello che ho da dirti riguarda te.. te e me parlai peggio di una bimba di pochi anni, non riuscendo a mettere insieme un discorso sensato.
    Non ero per niente brava in certe cose, ero più diretta, senza mezzi termini, forse troppo "cruda", ma ero fatta cosi. Era inutile perdere tempo e il nervosismo non era affatto d'aiuto.
    Mi sentii come pronta a esplodere, una bomba a orologeria che aspetta solo il countdown finale, Probabilmente non ci crederai o non ti importerà ma.. dovevo dirti questa cosa dal giorno del Ringraziamento e.. e comunque,, tu mi piaci Robert. Mi piaci davvero molto.. moltissimo.
    Ci riuscii, per una strana connessione astrale di pianeti o semplicemente per botta di adrenalina. Stentai a crederci, pronta per tuffarmi fuori dal trattore, dopo la sua risposta.

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    Octavia non sapeva tenersi niente per sé. Quando le capitava qualcosa di bello, l'intera safe zone se ne accorgeva, perché la sua voce squillante finiva presto col sovrastare tutte le altre, e così la sua risata contagiosa e spensierata. Se di norma era iperattiva, quando la felicità diventata troppa si trasformava in un tornado dalla potenza devastante. Non risparmiava nessuno. La negatività invece la costringeva a stra-fare per tenersi impegnata, e non permettere che un malumore le condizionasse la vita. Brutta cosa l'orgoglio...
    Era soprattutto nei momenti di tensione e tristezza che avevo sognato e desiderato di poterla stringere, coccolare, amare. Tendeva a sottovalutarsi e sminuirsi, a ignorare che la sua forza s'irradiasse in chi le fosse intorno. Vederla triste, o addirittura piangere, faceva crollare ogni mio muro o resistenza. Da quando la conoscevo, era successo pochissime volte che piangesse davanti a me. Si contavano quindi sulle dita di una mano i momenti di tenerezza che avevamo condiviso, quelli in cui il mio cuore aveva perso battiti e lo stomaco si era scoperto sovraffollato da ali sfarfallanti.

    Provai a ragionare in tutta fretta sul papabile argomento che la innervosisse tanto; glielo dissi tutto d'un fiato, il pensiero su Victor (?), tenendo gli occhi fissi sulle distese verdi di lattuga ai lati e il sentiero di terra davanti. C'era davvero l'imbarazzo della scelta, la cosa più saggia che potessi fare in quel momento fu partire da quanto di più vicino al personale. Del resto, conoscendo il soggetto, poteva essere una cosa di vitale importanza o melodrammaticamente reso tale dal suo carattere. L'unica cosa certa era che non avrei dovuto aspettare. Me l'avrebbe detta subito. Dovevo solo stare attento a non far cadere su di noi un silenzio imbarazzante: in un ambiente così piccolo il suo peso sarebbe stato pari a quello di dieci corpi umani gravanti sulle mie spalle con la forza di gravità vigente su Giove, per rendere il concetto ancora più chiaro.
    Dipendesse da me, in effetti... mi ritrovai a considerare cambiando marcia e stabilizzando la velocità, senza guardarla. Tentai comunque di mostrarmi rilassato, per quanto le notizie sul suo conto e la sua vicinanza mi rendessero tutto tranne che tranquillo. Cellule, muscoli, nervi: erano tutti in subbuglio per il suo profumo, il calore inconfondibile che emanava il suo corpo, per il pensiero che qualcuno prima di me e sotto il mio naso l'avesse assaporato.
    Mi rispose tenendosi aggrappata al trattore per non barcollare troppo. Victor la preoccupava ma non era di lui che voleva parlarmi. Di cosa, allora? In silenzio, seduto al posto di guida e muovendomi su e giù per via degli ammortizzatori, scoprii che in realtà volesse parlarmi di noi. In quel momento sollevai gli occhi verdi sulla sua figura. Fu un contatto molto breve, dovevo restare concentrato sulla strada se non volevo tranciare le lattughe con le ruote enormi del trattore. Rischio che corsi comunque quando mi confessò che le piacessi.

    Avevo sottovalutato il peso di una dichiarazione come la sua. Avevo creduto che solo il silenzio potesse diventare pesante come dieci corpi umani sulle mie spalle su Giove... Anche la sua confessione pesava tanto, in quell'abitacolo minuscolo.
    Trattenni il fiato mentre sentivo qualcosa di grosso come una palla da tennis salire dallo stomaco alla gola. Le nocche delle mani sullo sterzo largo diventarono bianche, perché mi ritrovai a stringerlo di più. Le piacevo. Le piacevo, forse non quanto lei piacesse a me ma le piacevo. Zitto pensai al perché, se sapeva di provare qualcosa per me, avesse ceduto alle avances del biker. Non ero arrabbiato con lei: era una donna adulta e libera che aveva colto un'occasione... Ma cosa dirle, quindi? Il collo sprofondò tra le spalle. Distolsi lo sguardo puntandolo dall'altra parte della strada.
    « Anche tu mi piaci » mi presi il mio tempo ma glielo dissi, con lo stesso tono con cui probabilmente un giornalista nel passato annunciava il tempo del giorno dopo. Dissimulai, come se quel verbo "piacere" non avesse la stessa inflessione amorosa che in realtà sentivo vibrare forte e chiara nel cuore. Mi piaci anche tu, ecco perché sei mia amica e il resto della comunità è costretta nella fascia dei conoscenti. Il suo sguardo addosso però era allucinante. Che si fosse trasformata in una Wonder Woman moderna? Sentivo come bruciare là dove si posassero i suoi occhi. I vestiti si stavano attaccando alla pelle e poi alla carne, liquefatta. Mi morsi il labbro cominciando a battere nervoso col pollice sullo sterzo. Intanto la pallina da tennis diventava più grande, più pesante e opprimente in gola. Percorremmo ancora pochi metri a bordo del trattore prima che togliessi di scatto il piede dall'acceleratore e spegnessi il mezzo. Così, di punto in bianco, in mezzo al sentiero battuto. Il portachiavi di alluminio ticchettò per qualche secondo, andando a scandire il tempo e il nostro silenzio. Guardavo dritto davanti a me, perché oltre che emozionato ero veramente incazzato.
    « Anche tu mi piaci. » mi venne fuori con un tono astioso, pesante. Affannato. Mi voltai quindi verso di lei, lasciando cadere le mani sulle ginocchia. Intanto mi mossi irrequieto sul posto, come se mi mancasse qualcosa. Tirai indietro la testa, espirando forte.
    « Devo scendere » un atteggiamento infantile? Chi cazzo se ne importava. In quell'abitacolo mi mancava l'aria, specie dopo averla guardata in faccia, la bocca, i capelli ed avere ricordato chi prima di me avesse avuto il suo piacere.

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    Non mi pentii della dichiarazione verso Robert. Rimandavo tutto da troppo tempo e tra la stronzata con Tyler, l'arrivo dei bikers e in generale tutto ciò che riguardava la vita frenetica del lavoro nei campi e della Safe Zone, complice anche la mia paura di un rifiuto, avevo sempre rimandato quel "fatidico" momento, ricamandoci sopra mille scuse.
    Ci avevo riflettuto a lungo e come Erin mi aveva consigliato, non dovevo e non potevo più indugiare oltre o avrei rischiato di.. perderlo.
    Ingoiata la pillola del coraggio, dopo le mie parole, il trattore e il suo abitacolo, mi sembrarono così stretti da farmi mancare l'aria, in perda a un vero e proprio attacco di claustrofobia.
    Avevo scelto il momento e le parole sbagliate? Ormai era fatta, non potevo più tirarmi indietro e, a dirla tutta, non volevo. Robert doveva sapere.
    Doveva sapere tutto. Magari a piccole dosi ma doveva sapere. Lui mi piaceva, provavo qualcosa di profondo e sincero nei suoi confronti, dovevo dirglielo o il fardello sarebbe diventato troppo grande e troppo pesante da sopportare.
    Rimasi completamente in silenzio, totalmente pietrificata come se lo sguardo di Medusa mi avesse trasformata in una statua.
    I nostri occhi si incontrarono, silenzio totale scandito semplicemente dal rumore del trattore in arresto.
    Anche tu mi piaci.. quella frase, si ripetè in continuazione nella mia testa come piacevole tormento.
    Eppure, rimasero da sole, nessuna "esternazione" a enfatizzarne il concetto.
    Fosse dipeso da me, gli sarei già saltata addosso, cercandone avidamente le labbra in preda a passione e foga.
    Ma rimasi composta, al posto passeggero, completamente inerme dinanzi al suo desiderio di lasciare il trattore per scendere a terra.

    Aspettai qualche attimo, riflettendo in silenzio, indecisa sul da farsi. Forse avrei dovuto raggiungerlo, o scappare via in preda a mille sentimenti contrastanti.
    Chiusi le mani a pugno sulle ginocchia, stringendo le nocche. Inspirai ed espirai profondamente decisa a seguirlo.
    Balzai fuori dall'abitacolo non curandomi minimamente di potermi fare male, saltando fuori dal finestrino.
    Io.. io sono pessima in queste cose! esclamai, incazzata con me stessa, in quello che voleva essere non solo uno sfogo, ma anche un rimprovero verso la sottoscritta.
    Scusami Rob.. non so come gestire e come comportarmi in queste situazioni ripresi fiato, muovendo qualche altro piccolo passo in sua direzione, senza essere invadente, Probabilmente ti aspettavi una dichiarazione d'amore perfetta, con tanto di parole dolci e romantiche, un luogo suggestivo.. ma.. ripresi fiato, come mio solito ero partita come un fiume in piena, con una parola dopo l'altra, senza fermarmi, non sicura se Robert mi stesse seguendo o meno.
    Ma.. io sono fatta così. Non sono perfetta, non sono la ragazza dei sogni, combino guai, faccio cazzate e me ne pento, sono un maschiaccio, bevo birra, non sono una principessa delle fiabe e.. sicuramente non sono brava a essere romantica lo guardai in viso, senza avvicinarmi, Ma sono sincera.. ti ho detto quello che provo per te e.. anche se l'ho fatto o l'ho detto nel modo sbagliato.. sappi che è assolutamente vero sospirai, come se mi mancasse l'ossigeno, come se mi sentissi libera dopo una lunga apnea.
    Finalmente gli avevo dichiarato i miei sentimenti, seppur non nella totalità e nonostante avesse in qualche modo ricambiato - o almeno cosi mi parse - aspettavo qualche altra sua parola, gesto o semplicemente sguardo che mi facesse capire se potevo e potevamo avere una possibilità.
    Vuoi che vada via? Che ti lasci da solo? domandai, provando a interpretare ogni sua reazione, cercando di incrociare i suoi splendidi occhi cielo.

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    Da sempre appassionato di lettura, l'atto dello scrivere fu il passo successivo - obbligato, oserei dire - cui giunsi dopo un naturale processo di maturazione. Mettere nero su bianco le idee e le emozioni divenne un'esigenza vera e propria per l'avvocato in erba che ero; impugnavo la penna e la lasciavo scorrere, riga dopo riga, sul foglio bianco senza mai seguire un vero e proprio progetto.
    L'essere così timido per la vita da "principe del foro" che avevo scelto mi aveva sempre portato a trattenere il carico emotivo di fronte alle altre persone, a non condividere nella non tanto sciocca convinzione di voler essere tutto tranne che un peso. Dovevo mostrarmi come un vincente, convincermi di esserlo se avessi davvero voluto avere una chance per realizzarmi in quell'ambiente spietato e complottista. Al mio capo e ai colleghi, cinici di natura ed egoisti (non sarei caduto nel tranello di generalizzare, limitandomi a ricordare la mia personale esperienza), un amore come quello che sognavo faceva venire l'orticaria; se solo avessero scoperto o fiutato i miei veri sentimenti, sarei diventato lo zimbello dello studio e la mia carriera sarebbe finita prim'ancora di cominciare. Per i deboli e i sentimentalisti non c'era posto tra i Principi del Foro. i poter fare a meno della dolcezza, della delicatezza di un amore che fosse nelle mie corde. Scriverle di getto mi aiutava ad esorcizzare il tutto. Scrivere era quindi l'unico modo che avevo avuto per esprimere me stesso, soprattutto per non snaturarmi e perdermi, trasformandomi in quello che la società voleva che fossi.
    Era la terapia che l'Apocalisse non aveva distrutto, né accentuato in modo particolare a pensarci. In pochissime operette avevo trattato l'argomento della Morte, non credevo di avere raggiunto la giusta sensibilità per poterla affrontare. L'avevo vissuta in prima persona, in quale altro modo sarei dovuto entrare in contatto con la stessa per ritenermi pronto a scriverne nel modo giusto? Ancora non avevo trovato una risposta che non suonasse come una scusa. Forse desideravo semplicemente che in quel mio taccuino sgualcito non ci fosse traccia di un qualcosa di così grande, irreversibile e infinitamente triste come la morte.

    Scesi dal trattore e mi allontanai di pochi passi. Con le mani sui fianchi e lo sguardo basso, il cuore in tumulto e la testa annebbiata da un turbinio di parole che non trovavano pace, mi lasciai dietro Octavia; conoscendomi non l'avrei cercata, avrei optato per l'ignorarla e aspettato che andasse via di sua spontanea volontà. Non ero pronto ad affrontare un discorso del genere, non era il modo in cui l'avevo idealizzato. Anzi, quel discorso non avrebbe dovuto mai concretizzarsi e la cosa mi faceva sentire arrabbiato e triste allo stesso tempo. Confuso e in difficoltà.
    I miei testi parlavano d'amore, desiderio e paura. Del mio sentimento per Octavia avevo scritto molto; l'avevo idealizzato più e più volte, sognato e sviluppato in scenari ogni volta diversi. Il reciproco piacersi, l'innocente flirtare sul lavoro e la sottile ricerca di un contatto sarebbero dovuti restare sul piano platonico per non rovinarne la perfezione raggiunta. Invece...
    La sentii scendere e affannata prese a parlarmi. A sopraffarmi con uno tsunami di parole pronunciate troppo in fretta. Le sue andarono ad unirsi al vortice che mi confondeva la testa, a ingigantire quel tornado devastante e senza via di scampo.
    « Non era così che doveva andare » dissi a voce bassa, senza aspettarmi però che ascoltasse. Alzai gli occhi e mi guardai intorno, sentendo su di me gli sguardi invisibili di chiunque. L'ultima cosa che volevo in quel momento era che qualcuno ci vedesse, ci sentisse e cominciasse a parlarne rendendomi lo zimbello che tanto avevo combattuto. Ascoltarla fu inevitabile, non avrebbe mai permesso a nessuno di intromettersi nel suo discorso e la sua voce riusciva a raggiungerti forte e chiara anche contro la tua volontà. Continuavo a pensare ai miei sogni, all'idealizzazione del sentimento, a quel motociclista e a lei. Le persone intorno a me avevano l'abitudine di farmi capire perfettamente come si sentissero senza mai chiedermi come invece mi sentissi io. La timidezza veniva spesso fraintesa, mi faceva sembrare freddo e disinteressato...
    « La perfezione non c'entra. Tu sei perfetta nelle tue banalissime imperfezioni » allora mi voltai, portandomi una mano tra i capelli ricci e lanciando uno sguardo furtivo intorno. In uno scambio d'amore avevo letto spesso che il resto del mondo spariva. Non esisteva altro se non l'oggetto del proprio sentimento. Non provai quella sensazione magica e smisurata stando in piedi di fronte a lei. Abbassai la voce, sporgendomi verso di lei perché comunque riuscisse a sentirmi.
    « Quello che avevamo era perfetto nel suo essere assolutamente teorico, qualcosa che niente e nessuno avrebbe mai compromesso. Puro anche nelle sue immagini più concupiscenti » parlando mi resi conto che ai suoi occhi il messaggio non era lo stesso, il senso non era condiviso. Lei aveva espresso i suoi sentimenti per poter concretizzare quel bisogno di contatto, di avermi accanto e unicamente per sé. Io invece desideravo che rimanesse tutto su un piano platonico e astratto, dove alcuna delusione o "cazzata di cui poi ci si pentiva" avrebbe finito col distruggere ogni cosa.
    Continuai a tenere gli occhi nei suoi, che mi parvero feriti e addolorati. Non era forse quello che si aspettava, sentirmi preferire un'idea alla realtà. La cosa andava contro la generale idea di avere un interesse per qualcuno, ne ero consapevole.
    « Tu... non fraintendermi. L'ultima cosa che vorrei è perderti per questa ragione »

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10 replies since 28/3/2019, 17:24   231 views
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